«Dottore, se io le dico che avevo problemi, io domani sono morto!». Ha la voce rotta dal pianto Francesco Presto, l’imprenditore che ha deciso, con coraggio, di denunciare la cosca Labate per le estorsioni subite durante un appalto nel quartiere Gebbione, a sud di Reggio Calabria, cosca ieri duramente colpita dall'operazione che ha portato all'esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare.

Un pizzo tremendo quello imposto dai “Ti Mangiu”: 200mila euro. Tanto da far esclamare al pm Stefano Musolino un’espressione eloquente e, per i reggini, senza bisogno di ulteriori commenti: «Manchicanisignuri!». E il sostituto procuratore non è certo un magistrato di primo pelo. Di estorsioni ne ha documentate a decine. Eppure, nonostante ciò, di fronte alla protervia, all’arroganza ed alla violenza con cui i Labate commettono quel reato, anche lui rimane basito.

Le lacrime dell’imprenditore

Non è facile per Francesco Presto raccontare tutto ai magistrati. Sa di avere una famiglia ed è a quella che pensa appena scorre davanti ai suoi occhi il film di quella estorsione. Ricorda perfettamente i volti di coloro che si presentano nel suo cantiere. E non sono semplici gregari. C’è il boss, in prima persona, durante la sua latitanza. C’è Pietro Labate, noncurante del fatto che la giustizia lo stia cercando. È il 25 ottobre scorso.

«Dottore, se parlo mi ammazzano»

Il racconto è drammatico e lo lasciamo nei suoi passaggi originali e in quel botta e risposta fra pm e testimone.

Presto: dottore ma se io le dico che avevo problemi, io domani sono morto!
Musolino: nooo ma siete pazzo!
Presto: dottore se vi dico che mi ammazzano, dottore!
Musoluno: ma se vi dico di no!
Presto: questi qua sono pazzi dottore, non hanno niente da perdere dottore
Musolino: nooo, sentitemi a me, nooo ma assolutamente potete stare tranquillo, ma liberatevi!
Presto: dottore vedete, vedete che non torniamo più a casa!
Musolino: nooo ma statevi tranquillo! Che non tornate più! Ma state scherzando?
Presto: (piange) se vi dico che non torniamo più, non torniamo! Sentite che vi dico
Musolino: nooo come non tornate a casa
Presto: omicidio
Musolino: ma statevi tranquillo
Presto: (piange) vi affido la mia famiglia
Musolino: e noi ce lo pigliamo questo, è giusto che ce lo pigliamo, capito? Non vi preoccupate, state tranquillo, ditemi tutto quello che dovete dire, liberatevi da questa cosa, la libertà vera vi viene proprio da questa cosa qua e vi garantisco che lo potete fare

Protezione per la famiglia

È qui che il pubblico ministero spiega all’imprenditore cosa succederà. «Non vi preoccupate, tra l’altro queste cose che ci dite non è che domani li tiriamo fuori, non vi preoccupate, ce le sappiamo gestire, le gestiamo, al momento giusto vi diremo prima “guardate che è il momento in cui queste cose potranno venire fuori e perciò vi garantiamo e, per capirci, vogliamo che restate a Reggio e che lavorare a Reggio Calabria».

Un’estorsione folle

Da qui inizia la lunga testimonianza di Francesco Presto, imprenditore vessato. Costretto a consegnare nelle mani della cosca Labate una enorme quantità di denaro che, a fatica, aveva messo insieme per i bisogni della sua famiglia. Ma quel cantiere, lì nel territorio di Gebbione, non poteva andare avanti senza l’avallo del boss Pietro Labate.

L’estorsione risale agli anni 2013-2015. «Mi hanno distrutto», afferma Presto. Ed etichetta i mafiosi come «bastardi!». L’imprenditore racconta del momento in cui si materializza il boss Pietro Labate.

Musolino: Pietro in persona?
Presto: sì

Labate era latitante

L’interrogatorio prosegue e il pm Walter Ignazitto nota un particolare: «Vedo che ha l’occhio un po’ lucido», dice riferendosi all’imprenditore. Il pm Musolino si mostra molto comprensivo: «La capisco».

L’occhio lucido di Francesco Presto si scioglie in pianti e sospiri: «No va bene dottore». E il suo racconto si fa molto fitto: «Ricordo, una mattina mentre ero là che lavoravo da un garage accanto, c’era un garage che era di proprietà del signor Rullo, della ditta Rullo. (…) Da un garage è uscito il signor Labate, forse era addirittura latitante. Lo conoscevo così dalle foto. Ho avuto paura eh eh sono rimasto! Io fisicamente lo conoscevo dai giornali, dalle cose, non pensavo che arrivasse a tanto, che potesse venire là in quel modo cioè… avete capito? In quel palazzo accanto c’era un garage, era aperto. Labate è venuto si è messo là, appena sono arrivato la mattina, stavo lavorando con due operai, mi ha chiamato, mi ha fatto entrare nel garage. Con lui c’era Orazio Assumma quello che vende materiale, pittura, queste cose qua».

Chiedere il permesso per lavorare

Da questo momento il racconto di Presto si fa difficile: «Mi hanno rimproverato, mi hanno preso a male parole, mi hanno detto che sono andato a casa loro, che prima che andavo là gli dovevo chiedere il permesso, che sono scostumato, avete capito che mi hanno detto? Perché uno gli deve chiedere pure il permesso per lavorare, avete capito? Siamo in queste condizioni, avete capito? Che gli dovevo chiedere il permesso e che qua e che là, che il lavoro era loro, che dovevano farlo loro, che loro si erano accaparrati il lavoro da prima, non so che lavoro si erano accaparrati, gli ho detto io” ma scusate io visto offrendo il lavoro”, dice “no tu stai zitto! Sei uno scostumato! Sei qua… sei là».

La richiesta estorsiva è tremenda: 200mila euro. «Sì – racconta Presto – dice che glieli dovevo dare 200mila euro “se fate il lavoro e se non lo fate” mi ha detto”». Il dramma dell’imprenditore è concreto: «Dottore, io non ho dormito per mesi, per mesi, per mesi, non è una cosa che uno può accettare però non avevo altre cose da fare, il cantiere era iniziato, eravamo già… Tornare indietro? Come si torna indietro? Che devo fare! E ho dovuto pagarli, dargli i soldi!».

Le dichiarazioni di Berna

In questa vicenda, fra l’altro, entra anche la figura di Francesco Berna, uno degli imprenditori più in vista della città, finito nell’inchiesta “Libro nero” e che da mesi ormai parla con la Dda di Reggio Calabria, raccontando tutto ciò che è a sua conoscenza. Il racconto di Berna, in merito alla vicenda Presto, è chiaro e preciso anche perché proprio Berna fece un contratto d’appalto su quel terreno che era nel cuore della cosca Labate. Lì dove lui non intendeva lavorare. Berna fornisce una descrizione emblematica di quel pizzo richiesto: «Un’estorsione folle».