'Ndrangheta, 14 arresti a Reggio Calabria: colpo alla cosca Labate

La polizia sta eseguendo anche numerose perquisizioni e sequestri di imprese e società per associazione mafiosa ed estorsione

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di Redazione
29 gennaio 2020
07:04

È in corso dalle prime ore di questa mattina una vasta operazione della polizia di Stato, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Reggio Calabria, finalizzata all’esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare - 12 in carcere e 2 agli arresti domiciliari - emesse nei confronti di capi, luogotenenti ed affiliati alla temibile cosca Labate conosciuta come “Ti Mangiu” di Reggio Calabria, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa e diverse estorsioni aggravate dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta.

Gli investigatori della squadra mobile della questura di Reggio Calabria, con il coordinamento del Servizio centrale operativo, coadiuvati dagli operatori del Reparto prevenzione crimine, stanno eseguendo anche numerose perquisizioni e sequestri di imprese e società. Impiegati circa 100 uomini e donne della polizia di Stato.

I nomi

In carcere

Pietro Labate, 69 anni


Rocco Cassone, 63 anni

Santo Gambello, 45 anni

Paolo Labate, 38 anni

Paolo Labate, 36 anni

Antonio Galante, 54 anni

Caterina Cinzia Candido, 55 anni

Francesco Marcellino, 70 anni

Fabio Morabito, 49 anni

Orazio Assumma, 61 anni

Domenico Foti, 59 anni

Domenico Pratesi,  50 anni

Ai domiciliari

Antonino Labate, 70 anni

Santo Antonio Minuto, 55 anni

Gli arresti "pesanti"

Su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, i poliziotti della squadra mobile hanno arrestato alcuni elementi di vertice e luogotenenti della cosca Labate. Fra essi figurano il boss Pietro Labate a cui il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere essendo detenuto per altra causa, il fratello Antonino Labate reggente della cosca durante il periodo di latitanza di Pietro Labate, il cognato (di entrambi) Rocco Cassone, nonché luogotenenti e nuove leve della consorteria.

Le indagini sono state condotte con l’irrinunciabile ricorso alle intercettazioni e alle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia, grazie alle quali è stato possibile individuare le gravissime vicende criminali che hanno determinato il graduale potenziamento della cosca Labate. Oggi il clan Labate è una potente articolazione della ‘ndrangheta unitaria che trova la sua forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche e nei solidi rapporti di alleanza con famiglie ‘ndranghetistiche dei tre mandamenti.

Arresti e perquisizioni anche a Roma e Cosenza

“Helianthus” è il nome che gli investigatori della polizia di Stato hanno dato all’operazione. Sin dalle prime ore di questa mattina, a Reggio Calabria, Roma, e Cosenza sono stati eseguiti numerosi arresti e perquisizioni nei confronti di esponenti della ‘ndrangheta reggina.

L’inchiesta della Dda sviluppata con un’articolata indagine condotta dalla squadra mobile di Reggio Calabria, ha consentito di ricostruire gli assetti e le dinamiche criminali del clan Labate, una delle più temibili e potenti articolazioni della ‘ndrangheta unitaria, che controlla nella città di Reggio Calabria il popoloso quartiere Gebbione.

Nel corso dell’operazione, sono state sequestrate 4 società, nella disponibilità dei capi e dei luogotenenti della cosca Labate. Si tratta di una stazione di carburanti, di un esercizio commerciale di prodotti surgelati, di un’azienda operante nel settore dei prodotti di carta e plastica per gli alimenti e la ristorazione, di un negozio di vendita al dettaglio di pitture e vernici. Il valore dei beni e di circa un milione di euro.

Lo strapotere mafioso dei “Ti Mangiu

L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria fa luce sugli affari economici della cosca Labate, svelando un certo dinamismo in alcuni settori illeciti come quello delle scommesse on line, delle slot machines e dello sfruttamento delle corse clandestine di cavalli, mantenendo tuttavia un elevato interesse per quello che rappresenta il core business delle attività criminali da sempre espressione dello strapotere mafioso dei “Ti Mangiu”, segnatamente rappresentate dal sistematico ricorso ad attività estorsive nei confronti  di operatori economici, commercianti e titolari di piccole, medie e grandi imprese, specialmente di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel settore dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa.

Estorsioni per alcune centinaia di migliaia di euro venivano imposte, con pesanti minacce, agli imprenditori durante i lavori di esecuzione di complessi immobiliari nel quartiere Gebbione controllato capillarmente dai Labate. Ad alcuni titolari di imprese veniva anche imposto con la forza dell’intimidazione l’acquisto di prodotti dell’edilizia presso aziende nella disponibilità del clan.

Ad un commerciante è stato impedito di aprire una pescheria nel citato quartiere perché dava fastidio al titolare di un analogo esercizio commerciale, affiliato alla cosca.

L’agenda di Pietro Labate

Le indagini da cui scaturisce l’operazione Helianthus, iniziate nel 2012, portarono a distanza di oltre un anno, il 12 luglio 2013, alla cattura del latitante Pietro Labate, leader carismatico e capo storico della cosca che porta il suo nome.

Labate si era sottratto nel mese di aprile 2011 all’esecuzione del fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguito dalla Squadra Mobile nei confronti di capi e gregari delle Tegano e Labate nell’ambito dell’operazione “Archi”.

Al culmine di un’intensa e laboriosa attività investigativa supportata da molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali e da sistemi di video sorveglianza, nell’estate del 2013 gli investigatori della squadra mobile localizzavano e catturavano il boss latitante nel suo feudo, mentre si muoveva a bordo di uno scooter vicino al torrente S. Agata.

Nel covo in cui aveva trovato rifugio, non distante dal luogo in cui era stato localizzato, vennero scoperte alcune agende sulle quali il boss aveva annotato nomi di persona, importi e denominazioni di ditte rivelatesi determinanti ai fini dell’accertamento della penetrazione dei Labate nel tessuto di alcune attività economiche e commerciali locali.

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