Breakfast, il pm Lombardo porta in aula un’intercettazione riguardante l’imprenditore Caruso ritenendo sia stato vittima di minaccia: «Ha timore di parlare di ‘ndrangheta». Ma la difesa e il collegio concordano: «Ha deciso autonomamente di non rispondere»
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Il teste Francesco Caruso ha paura di deporre al processo Breakfast perché intimidito. È questa la tesi sostenuta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha chiesto al Tribunale di acquisire le dichiarazioni del teste rese in precedenza, a seguito del suo rifiuto a testimoniare in aula. Ma per il collegio la decisione di non deporre è autonoma e non emergono elementi sintomatici della sua avvenuta intimidazione.
La potenziale intimidazione
A giudizio del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, infatti, Caruso teme l’esame dinanzi al collegio reggino perché sa di dover parlare di vicende legate al tentato omicidio di cui fu vittima alcuni anni addietro e che avvenne proprio poco tempo dopo l’avvio delle attività di navigazione sullo Stretto da parte dello stesso Caruso. Questi, infatti, è un imprenditore attivo nel settore che fu anche di Matacena. L’intercettazione, a giudizio dell’ufficio di Procura, sarebbe esemplificativa delle paure sorte in capo a Caruso: «Ha timore di venire a deporre perché sa di dover parlare di ‘ndrangheta», ha spiegato il procuratore Lombardo nel corso della precedente udienza. Ed allora il modo migliore per far entrare le sue dichiarazioni è quello previsto dall’articolo 500 comma 4 c.p.p, il quale prevede che, «quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposta a violenza, minaccia, offerta o promessa o di altra utilità, affinché non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle previste dal comma 3 possono essere utilizzate».
La tesi difensiva e la decisione del Tribunale
Sulla richiesta del procuratore aggiunto si è pronunciato anche il collegio difensivo che ha posto in luce come non emerga in alcun modo una eventuale minaccia al teste, ma si nota solo una sua precisa volontà di non testimoniare. «L’unica preoccupazione del teste – spiegano i difensori – è quella di non essere perseguito dalla Procura per ciò che avrebbe potuto riferire».
Il collegio, dopo una breve camera di consiglio, ha ritenuto, sulla base dei requisiti richiesti per azionare il meccanismo previsto dall’articolo 500 comma 4 c.p.p., che gli elementi della minaccia debbono essere sintomatici, connotati da precisione, obiettività e significatività e che la reticenza debba essere comunque indotta da un’azione esterna. Per i giudici sarebbe anche interessante approfondire la questione effettuando un severo accertamento dei fatti. Ma quand’anche dovesse risultare che l’intercettazione fosse legittima e conforme alle norme, dalla stessa emerge come la decisione di non deporre sia del tutto autonoma. Non vi sono, dunque, elementi concreti da cui desumere la minaccia. Da qui la mancanza di presupposti per dar corso all’acquisizione delle dichiarazioni del teste ex articolo 500 comma 4 c.p.p.
Le altre richieste istruttorie
Quanto alla richiesta di acquisire ulteriori atti, da parte del pubblico ministero, le difese hanno richiesto che sia predisposto un indice analitico che spieghi, atto per atto, cosa contengano. Il pm ha quindi richiesto un termine di due mesi per procedere ad un lavoro simile. Termine accordato con rinvio dell’udienza al prossimo 9 settembre.
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