Dopo l’arresto di Daniel D’Alessandro nell’inchiesta sul delitto Boiocchi emergono le sue confessioni alla Squadra Mobile prima della fuga in Bulgaria: «Il piano per uccidere il capo ultrà era pronto, lo avremmo seppellito in campagna. A maggio avevo comprato la calce viva ma poi ho deciso di metterlo in guardia»
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Partiamo da una delle foto più condivise: gli “amici” Andrea Beretta, Antonio Bellocco e Marco Ferdico posano in un gruppo più ampio al termine di una partita di calcetto. È uno degli scatti simbolici di questa storia che illumina gli affari ultrà criminali mandati avanti all’ombra della ’ndrangheta. Beretta, che poche ore dopo ucciderà Bellocco con 21 coltellate, nell’immagine se ne sta ai margini: quella sera «si è dimostrato freddo con tutti, molto attento a ciò che faceva e diceva e, soprattutto, si è allontanato dal luogo senza fare la doccia».
Il virgolettato appartiene a Daniel D’Alessandro, altro tifoso dell’Inter di origini calabresi. D’Alessandro ha un ruolo chiave in quei giorni. Sarebbe sua la soffiata che rivela a Beretta il progetto di Bellocco e Marco Ferdico: uccidere il capo ultrà per mettere le mani sul business del merchandising interista. Forse per questo Beretta sta sulle sue e non si ferma con gli amici dopo la partitella.
L’omicidio di Beretta rinviato per una perquisizione a Bellocco
In quel momento – siamo ai primi di settembre 2024 – l’omicidio di Andrea Beretta è già stato deciso. Il progetto prende corpo a luglio, quando Bellocco convoca Beretta in un box per discutere dei profitti del merchandising dell’Inter: quelli gestiti dalla Curva Nord non sarebbero stati spartiti in maniera equa. Il rampollo di ’ndrangheta ha il dubbio che il socio faccia la cresta sui guadagni.
Le annotazioni della Squadra mobile di Milano, anticipate dal Fatto Quotidiano, ripercorrono settimane in cui la decisione matura e poi viene rinviata: in un caso accade perché Bellocco subisce una perquisizione e dunque decide di prendere tempo.
Il piano fallito viene ripercorso da Daniel D’Alessandro, detto Bellebuono, negli interrogatori davanti agli agenti della Mobile. A quegli interrogatori, però, si arriva a partire da una chat tra D’Alessandro e un numero salvato come “Amico meu”: «Non c’è tempo, ti dico solo questo. O meglio io non ho più tempo».
Il messaggio è del 21 settembre: Bellocco è morto da 17 giorni e Bellebuono non si fa vedere in pubblico perché pensa che la rivelazione fatta a Beretta dalla quale è scaturito il delitto di Cernusco sul Naviglio pesi sulla sua testa come una taglia.
Il piano studiato da Bellocco e Ferdico
La Squadra mobile lo sa e lo cerca. Viene rintracciato in un centro commerciale e portato in questura dove, però, si rifiuta di collaborare. Inizialmente – spiegano gli agenti in una delle informative – apre alla possibilità di essere portato in una località protetta, ma poi manca l’appuntamento e fa perdere le proprie tracce fino al primo ottobre, giorno in cui la sua abitazione viene perquisita. A quel punto chiede di essere sentito e racconta la storia che gli ha piazzato un obiettivo sulla schiena.
Fa i nomi e spiega il piano che avrebbe dovuto portare Beretta in fondo a una buca. L’omicidio sarebbe dovuto maturare entro il 15 settembre: al capo ultrà avrebbe dovuto sparare un detenuto ammesso al lavoro esterno in un’officina, un altro uomo si sarebbe occupato della logistica e della gestione dei mezzi usati nell’agguato. Dopo l’omicidio – è l’idea di Bellocco e Ferdico – la macchina di Beretta sarebbe stata portata a Nizza per far credere a tutti che era fuggito all’estero.
«Era tutto pronto, avevo comprato la calce viva»
D’Alessandro racconta ciò che sa agli agenti della Squadra mobile. Il piano di morte era stato ideato da Bellocco, Marco e Gianfranco Ferdico. Avrebbero dovuto attirare Beretta in una cascina per un fantomatico recupero crediti: qui il capo ultrà sarebbe stato stordito con sostanze narcotizzanti e poi portato in campagna. Lì sarebbe avvenuta l’esecuzione: gli avrebbero sparato e poi lo avrebbero sotterrato. Quel giorno, Bellebuono spiega anche di essere «stato incaricato di acquistare calce viva presso il negozio Leroy Merlin di Carugate». Cosa che avrebbe fatto nel mese di luglio 2024, pagando in contanti.
Perché D’Alessandro decide di salvare Beretta
Era tutto organizzato: i sopralluoghi e anche le fasi preliminari, tra cui l’incontro nel box di Bellocco nel luglio 2024 prima della perquisizione che fece saltare tutto.
D’Alessandro racconta anche i motivi che lo avrebbero spinto ad avvertire Beretta causando l’effetto domino che porterà all’omicidio di Bellocco. Nelle dinamiche che porteranno al redde rationem e alle 21 coltellate fatali ci sono rapporti consolidati di curva e soprattutto il fatto che lo stesso Beretta avrebbe salvato, in passato, Bellebuono da un guaio con un gruppo di calabresi legato a un debito di droga.
L’attentato sarebbe stato svelato per rendere il favore a Beretta. E anche perché D’Alessandro temeva di finire in una buca assieme al capo ultrà messo nel mirino da Bellocco e Ferdico. Per quattro volte D’Alessandro avrebbe messo in guardia Beretta fino a convincerlo del pericolo. Il resto è cronaca nera e giudiziaria: una presunta amicizia finita nel sangue a poche ore dall’ultima partita di calcetto ha illuminato il lato oscuro del tifo. E forse l’abisso non è ancora del tutto esplorato.