Negli anni della faida imperversava in città anche un cacciatore di taglie tra i più spietati al servizio del boss Raffaele Cutolo, persino Franco Pino aveva timore di lui: «Era pericoloso al 100%»
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L’assassinio come pratica quotidiana, dunque come vizio. Il vizio di uccidere. Sergio Bianchi, in soli trent’anni di permanenza sulla terra, ha interpretato meglio di chiunque altro questa nevrosi. Lo chiamavano “O pazzo” ed era un sicario fra i più spietati alle strette dipendenze di Pasquale Scotti, capo dell'ala militare del gruppo di Raffaele Cutolo. Proprio Scotti lo aveva fatto capozona di Arzano, comune della città metropolitana di Napoli, quale premio della sua applicazione al conflitto in corso all’epoca tra la Nuova camorra organizzata e la Nuova famiglia.
«Era una persona pericolosa al cento per cento. Praticamente questo usciva la mattina e si prendeva la “taglia” su ogni persona della Nuova famiglia, si prendeva tre milioni a cadavere e ne ammazzava due o tre al giorno» dirà di lui il boss Franco Pino ormai pentito. A dare ulteriore lustro alla sua cattiva fama, ci sono anche le parole che gli dedica il temibilissimo Pasquale Barra “O animale”, forse il killer più spietato al servizio di Cutolo, peraltro assassino del celebre gangster Francis Turatello. Di Bianchi, Barra dirà durante un processo: «Sparava come un dio e non gliene fotteva niente di nessuno». Ha messo la firma su una lunga scia di omicidi.
Nel 1981, per sfuggire ai nemici e alla polizia, O Pazzo sverna in Calabria insieme ad altri tre camorristi e si mette al servizio di Nelso Basile, il boss di San Lucido. A quel tempo, la cittadina tirrenica è un centro nevralgico della guerra di mafia che contestualmente impazza a Cosenza. È lì, che Pino ha scelto di stabilirsi con tutta la sua banda. Ritirata strategica la loro, perché da San Lucido continuano a muovere guerra a al gruppo nemico di Franco Perna. In quel contesto, il gruppetto di napoletani fa la sua parte, seminando un discreto terrore.
Nell’81 uccidono gli amanti impossibili, Mario Turco e Ines Zangaro, un anno dopo firmano l’omicidio eccellente dell’avvocato Silvio Sesti e, nello stesso anno, attentano platealmente alla vita di Franco Carelli all’interno del pub “Apocalisse” di Rende. Missioni di morte in cui è protagonista sempre Bianchi. Soggetto pericolosissimo, aduso alla cocaina, persino il Boss dagli occhi di ghiaccio ha paura di lui. E fa benissimo.
Bianchi, infatti, gli chiederà di attirare in Calabria con l'inganno Franchitiello De Rosa, capozona cutoliano di Fratta Maggiore che l'organizzazione criminale intendeva “epurare” per sostituirlo con un altro referente. De Rosa, però, era amico di Pino e così quest'ultimo tenta di salvargli la vita. Il suo destino, però, è segnato. E quando Franchitiello sparisce nel nulla, il boss cosentino comincia a temere per la propria incolumità. Teme che De Rosa, magari sotto tortura, possa aver rivelato, prima di morire, l'interessamento nei suoi confronti da parte del boss cosentino.
E così decide di nascondersi, di non andare più a San Lucido, dove ci sono Basile e Bianchi che ormai percepisce come soggetti non più amici, ma pericolosi. Il problema per lui si risolve a maggio del 1983 quando i suoi nuovi nemici cadono entrambi a pochi giorni di distanza. Basile ucciso dagli alleati a cosentini e Bianchi nella sua Arzano, dopo uno scontro a fuoco con la polizia che, quel giorno, si accorge di lui perché reo di non essersi fermato a uno stop.