“Allora, per quanto riguarda l’omicidio Boiocchi, non c’entra niente Antonio Bellocco e la famiglia Bellocco, siamo stati noi a organizzare tutto. Praticamente quando è uscito Vittorio dalla carcerazione per tentata rapina in Milano...”. Quando Andrea Beretta decide di pentirsi e parlare con i magistrati della Dda di Milano ha da poco ucciso Totò Bellocco, rampollo della famiglia di ‘ndrangheta.

I pm antimafia cercano di capire cosa sappia dell’omicidio di Vittorio Boiocchi, capo storico della Curva Nord di Milano. Tutto, nell’agguato che ne ha decretato la morte nel novembre 2024, sembra ricondurre a una pista mafiosa. Eppure, spiega Beretta, la ’ndrangheta non ha un ruolo in quel delitto. Lo ha commissionato lui, il delfino di Boiocchi, per paura di essere estromesso dal business del merchandising interista. Una specie di ossessione (per quanto motivata): per lo stesso motivo Beretta ucciderà due anni dopo Bellocco, arrivato a Milano proprio per garantire la successione del capo storico a favore di Beretta.

Le 160 pagine dell’ordinanza che racconta la storia del delitto Boiocchi sono un compendio di rapporti tra il mondo ultrà e quello della criminalità organizzata. E illuminano, almeno in parte, il momento in cui Beretta decide di saltare il fosso dopo le coltellate mortali inferte a Bellocco nel parcheggio di una palestra a Cernusco sul Naviglio.
Beretta, nei primi colloqui con i magistrati, non cerca di nascondere il motivo per il quale ha deciso di uccidere. Spiega “che ha commesso l’omicidio come reazione alla sussistenza di un progetto omicidiario in suo pregiudizio architettato da Marco Ferdico, Gianfranco Ferdico, Daniel D’Alessandro e lo stesso Antonio Bellocco”. I primi tre sono finiti in manette per il delitto Boiocchi: Ferdico si sente tradito dalle persone che aveva coinvolto nell’agguato progettato per prendere il controllo della Curva Nord dell’Inter. Ora i presunti traditori vorrebbero appropriarsi della sua attività di merchandising dopo averlo accusato di aver tenuto per sé parti consistenti di guadagni illeciti provenienti dalla Curva.

Questi ragionamenti e le loro conseguenze, cioè la scelta di pentirsi e collaborare con i magistrati della Dda di Milano, entrano in due colloqui di Beretta in carcere. Il capo ultrà parla con la sua ex moglie. E senza giri di parole, le spiega che la sua decisione di collaborare non è mossa dall’idea di avere uno sconto di pena bensì da quella “che era imminente una reazione (“fanno una strage") ai suoi danni e dei suoi familiari per l’omicidio appena commesso ai danni di Bellocco”.
“Non è una questione di anni – dice – è successo che questi qui hanno fatto un’intercettazione telefonica e hanno detto che fanno una strage, tu mi devi ascoltare. Una strage… non posso restare dentro”, dice Beretta. La donna cerca di fargli cambiare idea e gli rappresenta che la suocera di Bellocco, “che è su tutti i giornali”, ha detto il giorno stesso “che non apevano neanche il perché (della reazione omicidiaria di Beretta)”.
Il killer di Bellocco, però, è risoluto e dice che non ha scelta se non quella di "passare dall’altra parte" perché è stato tradito da tutti, cioè da “quelli con cui aveva commesso l’omicidio di Boiocchi”.
Mi hanno tradito tutti – sono le sue parole – io sono finito qua dentro, volevano ammazzarmi. Mi hanno tradito Marco (Ferdico, ndr), il padre, mi ha tradito Antonio, mi ha tradito Maurino (Nepi), mi hanno tradito tutti”.
Si considera solo, Beretta, teme una strage e decide di saltare il fosso. La famiglia Bellocco, nei giorni successivi all’omicidio di Antonio, ha preso posizione pubblicamente – forse in una maniera mai registrata prima – chiedendo alla giustizia di accertare le responsabilità sulla morte del parente. E ha chiesto di costituirsi parte civile (rappresentata dall’avvocato Antonino Ingroia) nel processo per omicidio a carico di Beretta.