VIDEO-INTERVISTE | La storia di una donnna che sta rinunciando alle cure piuttosto che andare a Messina o negli altri centri sparsi tra Scilla e Melito Porto Salvo. L’appello della nipote: «Chiedo alle istituzioni di mettersi una mano sul cuore per risolvere il problema»
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«Lo so che rischio di morire non facendo la dialisi. Preferisco lasciarmi andare che morire per strada». È una storia davvero assurda quella della signora Maria Catalano. È da quasi 3 anni che deve sottoporsi al trattamento della dialisi ma, non essendoci il posto a Reggio Calabria preferisce non curarsi piuttosto che andare a Messina o negli altri centri sparsi tra Scilla e Melito Porto Salvo, dove attualmente 53 pazienti reggini sono costretti a curarsi.
Al reparto di nefrologia del “grande ospedale metropolitano” non ci sono più posti disponibili; cento è il numero massimo e per gli altri pazienti l’unica soluzione è andare oltre lo Stretto, in una struttura sovvenzionata dalla Regione Calabria affrontando viaggi estenuanti dalle due alle tre volte alla settimana. Maria ha 70 anni, ha un’insufficienza renale cronica all’ultimo stadio ed in più sta perdendo la vista. Senza contare le diverse complicazioni cliniche che ha a causa della scelta di non fare la dialisi.
«Non è che non voglio andare a Messina- dice alla nostra testata- non posso proprio. Non ce la faccio. Il mio corpo non me lo consente». Attualmente si sta curando al reparto di nefrologia «mi seguono tanti medici bravi, afferma, ma loro me lo dicono sempre che io per stare meglio devo andare in dialisi». Ogni giorno per lei può essere fatale. Più passa il tempo e più la sua situazione peggiora. «Certo che ho paura- dichiara- lo so che se non andrò in dialisi mi aggraverò. Ma non ho altra scelta. Fino a quando non troveranno per me un posto, fino a quando non costituiranno questo centro dialisi, io cercherò di andare avanti ma, curarmi fuori non mi è possibile».
Il commissario straordinario alla sanità Massimo Scura, all’esito del tavolo costituito dal Prefetto reggino Michele di Bari, nonché dai vertici dell’azienda sanitaria provinciale e dell’azienda ospedaliera, il sindaco Giuseppe Falcomatà e i rappresentanti dell’Aned, Antonio Montuoro e Francesco Puntillo, aveva garantito che entro il 2 ottobre ci sarebbero stati nuovi posti a Reggio per i pazienti che subiscono le cure oltre lo Stretto ed in più una parte degli stessi sarebbero stati ridistribuiti fra Melito e Scilla, in modo da non viaggiare verso la Sicilia.
Al momento nulla è cambiato. La situazione è rimasta tale e quale. E le parole del commissario Scura sono state le ennesime promesse lasciate cadere nel vuoto. Ed è per questo che la signora Maria Catalano rivolge un appello alle Istituzioni. «Curarsi a Reggio è un nostro diritto. Occorre necessariamente istituire questo centro pubblico e farci fare la dialisi in città. È tutto assurdo. Come me ci sono tantissimi altri pazienti che pur di non viaggiare si stanno lasciando morire».
I familiari della donna sono molto preoccupati. Più passa il tempo e più aumentano la paura e l’angoscia ma, anche la rabbia. «Mia nonna- ci dice la nipote Maria Laura De Lorenzo- si sta lasciando morire e questo perché? Perché non vengono garantiti i suoi diritti. Ricevere cure, assistenza, è un suo diritto. Se mia nonna muore, chi me la ritorna?», si chiede. L’odissea che stanno vivendo i dializzati reggini non è più sostenibile. La situazione va avanti da dieci anni e né la Regione né l’Asp in tutto questo tempo sono riusciti a risolvere il problema accumulando, ritardi su ritardi che hanno gravato sulle spalle dei pazienti e delle loro famiglia. Scura, sempre all’esito dell’incontro prefettizio, ha dichiarato pubblicamente che entro nove mesi massimo sorgerà il centro dialisi pubblico. Sarebbe persino stata individuata la sede, ossia l’ex “Empas”, struttura di proprietà dell’Asp, e sarebbe stato stanziato un milioni di euro per il progetto. I nove mesi non sono trascorsi ma, le premesse che sia l’ennesima dichiarazione “vuota” ci sono tutte. «Chiedo alle istituzioni locali e regionali- ha concluso Maria Laura De Lorenzo- di mettersi una mano sul cuore per risolvere il problema non solo di mia nonna ma, di tutti coloro i quali vivono la stessa emergenza. Non è giusto che queste persone anziane devono essere costrette a viaggiare, è una violenza».
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