Dopo anni di appelli solo 3 mesi fa l’Asp di Reggio “scopre” che mancano posti per la dialisi

INCHIESTA | Nonostante l’odissea di decine di pazienti costretti da anni a recarsi a Messina, fino a maggio mancavano riscontri burocratici all’emergenza. Lacuna che ha impedito anche l’apertura di centri privati da attivare in convenzione

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di Angela  Panzera
11 settembre 2018
18:01

L’emergenza dialisi a Reggio è un calvario, che decine di pazienti affrontano da molti anni, essendo costretti a recarsi a Messina tra le due e le tre volte alla settimana per la mancanza di posti-rene nella propria città.

 


La clamorosa "scoperta" dell'Asp

Eppure, clamorosamente, soltanto il 17 maggio scorso l’Asp, come risulta dalla relativa deliberazione, ha provveduto a formalizzare “il reale fabbisogno dei posti letto rene occorrenti per affrontare e risolvere la grave criticità sanitaria esistente sul proprio territorio in materia di trattamenti dialitici, valutando detto fabbisogno in almeno 29 posti letto rene per il suo territorio di competenza”.
Un ritardo incomprensibile, quello dell’Azienda sanitaria provinciale, che probabilmente è anche alla base della mancanza di strutture private nella città dello Stretto, che avrebbero potuto operare in convenzione il servizio sanitario pubblico, come d’altronde avviene per quelle a Messina a cui i pazienti sono costretti a fare ricorso. Sarebbe proprio nella mancanza di riscontri burocratici all’emergenza dialisi, dunque, il motivo per il quale la Regione non avrebbe mai dato il via libera a nuovi centri che potessero garantire in Calabria la terapia.

 

Odissea quotidiano

Eppure si tratta di un’emergenza nota e risaputa da tutte le Istituzioni, sia grazie ai dati raccolti dal “registro calabrese di dialisi e trapianto”, ma anche grazie all’impegno sul territorio da parte dell’Aned, l’associazione nazionale emodializzati, che appunto da tempo immemorabile denuncia le inefficienze del sistema sanitario regionale.
I pazienti dializzati della Calabria, e in particolare quelli della provincia di Reggio, non solo devono subire il calvario causato dalle patologie renali - che di fatto li costringono a eseguire dalle due alle tre volte alla settimana il trattamento salvavita, ma devono anche subire i ritardi dell’amministrazione sanitaria e della Regione.
Al momento ci sono oltre 50 reggini che sono costretti a curarsi fuori città. Di questi pazienti, 34 - molti dei quali anziani- eseguono la dialisi a Messina in un centro privato accreditato e quindi sovvenzionato dalla Regione Calabria; altri 6, invece, devono recarsi a Melito Porto Salvo e altri 12 a Scilla. Per questi ultimi due gruppi non esiste neanche un servizio navetta; i pazienti, infatti, giungono allo Scillesi d’America e al Tiberio Evoli con mezzi propri mettendo a rischio la propria incolumità e facendo supporto sulle famiglie, che subiscono anche loro questa odissea.

 

Le cure al di là del mare

Si tratta di una vera e propria emigrazione sanitaria perché da un lato non esiste a Reggio un centro dialisi che l’Asp più volte si era impegnata di costituire e dall’altro perché l’area dialisi del grande ospedale metropolitano può effettuare il trattamento solo a 100 pazienti i (il massimo che possa supportare), escludendo quindi di fatto tutti gli altri.
D’altronde, lo stesso reparto non può divenire un centro dialitico perché, così si andrebbe a pregiudicare l’intero funzionamento dello stesso, il quale si occupa di tutte le patologie renali, e non si garantirebbe più la dovuta assistenza sanitaria anche agli altri malati. Un problema decennale, quello dei dializzati reggini, che proprio nel corso degli anni, ha visto susseguirsi tavoli tecnici in Prefettura, accordi programmatici, protocolli di intesa vari, impegni e proclami da tutte le parti politiche che si sono succedute nel tempo ma, che di fatto ancora non ha trovato risoluzione esasperando così i dializzati reggini.

 

I ritardi dell’Asp

Che la situazione all’azienda ospedaliera provinciale reggina non fosse e non sia delle migliori non è una novità. Le inchieste giudiziarie, ma non solo, che l’hanno vista al centro di una vera e propria “bufera” e soprattutto l’enorme debito di circa 200 milioni di euro, da tempo hanno acceso i riflettori sull’ente. La decisione poi, da parte del commissario straordinario al piano di rientro della sanità Massimo Scura, di assumere la guida dell’Asp, esautorando dalle funzioni di direttore generale Giacomino Brancati (il quale adesso ricopre un’altra carica, quella di coordinatore delle attività sanitarie e socio-sanitarie territoriali, ndr) ha nuovamente posto l’accento sulle criticità dell’ente di via Diana. Criticità che riguardano anche la situazione dei dializzati reggini.


La paralisi della Regione

Il commissario straordinario Massimo Scura, anche negli ultimi giorni, si è impegnato pubblicamente per risolvere l’emergenza dialisi a Reggio Calabria. Mercoledì scorso, nel giorno del suo insediamento alla guida dell’ente di via Diana, proprio alla nostra testata aveva dichiarato testualmente: «Il problema dei dializzati è un problema serio; un problema sul quale stiamo lavorando. Oltre al terzo turno che si realizzerà all’ospedale reggino e per il quale il direttore generale si è impegnato a risolvere entro la fine di questo mese, visto che gli ho autorizzato ulteriori infermieri a tempo determinato. Nel contempo, con la struttura dell’Asp troveremo una soluzione definitiva».

 

Il terzo turno "fantasma"

Andiamo con ordine. Sul tanto pubblicizzato “terzo turno” di dialisi, da effettuare al grande ospedale metropolitano, la situazione non è così facile. Da un lato studi e associazioni a livello internazionale hanno appurato che per i pazienti, effettuare la dialisi nelle ore serali non è consigliabile, anzi è assolutamente da evitare, visto che il trattamento ha forti ripercussioni sulla pressione arteriosa, ma non solo, e quindi comporterebbe dei seri danni alla salute. Inoltre, nonostante Scura abbia riferito che verrà attivato entro il 30 settembre, mancano medici e infermieri da destinare. Il concorso per l’assunzione del personale, bandito tempo fa, è stato bloccato dal Tar per una serie di ricorsi. Una prima soluzione tampone per l’espletamento turno serale di terapie (oltre quello del mattino e del pomeriggio), ha visto degli infermieri precettati provvisoriamente dagli altri reparti per attivare ugualmente il servizio, nell’attesa che si sblocchi la situazione al Tar.
Alcuni però, non sono disposti a eseguire questa ulteriore turnazione e hanno presentato una raffica di certificati medici. Un atteggiamento non condannabile, questo degli infermieri poiché sarebbero sottoposti a turni massacranti e non retribuiti, o quantomeno non retribuiti adeguatamente. Il diritto alla salute infatti, non si può garantire gratis. Ma le inefficienze della sanità regionale non terminano qua. Il commissario straordinario Scura - alla data dell’undici luglio scorso - non ha approvato il piano attuativo aziendale proposto dall’Asp di Reggio Calabria, all’interno del quale - tra i tanti punti - veniva appunto esplicitato il fabbisogno per 29 posti letto-rene.

 

I costi dell’emigrazione sanitaria

Gli ultimi dati ufficiali sui costi che sono stati sostenuti per le prestazioni offerte dalla Regione Sicilia nei confronti dei pazienti risalgono al biennio 2009/2010. In particolare, sarebbero stati spesi oltre 2 milioni di euro, a cui devono aggiungersi gli ulteriori 300 mila euro annui riferiti ai rimborsi spese per i viaggi, riconosciuti ai pazienti in trattamento dialitico, così come prevede la legge regionale n. 36 del 1986. Una spesa ingente più volte denunciata anche dalla stessa associazione Aned regionale che, oltre ad aver stigmatizzato questi “viaggi della speranza” («Una situazione eticamente riprovevole, non più sostenibile per i malati e le famiglie»), va a evidenziare un danno economico per le deficitarie casse regionali di circa 1 milione e 200 mila euro annui.
Sono passati otto anni da questi dati e le prestazioni sanitarie effettuate in Sicilia sono continuate. Già nel 2011 si assisteva a un incremento costante del fenomeno di circa il 22% rispetto all’anno precedente.
Costi che la sanità pubblica avrebbe potuto evitare, o quantomeno contenere e diminuire, se a Reggio Calabria fosse stato istituto un centro dialisi pubblico oppure se ci fossero stati sul territorio reggino delle strutture private, accreditate, che da un lato avrebbero incrementato l’occupazione per una provincia caratterizzata da un forte tasso di disoccupazione, e dall’altro - ed è questo il dato più significativo ed importante - avrebbero evitato ai pazienti reggini di effettuare gli estenuanti viaggi per le cure. Cure che la sanità regionale avrebbe il dovere di garantire.


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