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Nonostante fosse in malattia a causa di uno stato d’ansia depressivo, partecipò a una manifestazione di protesta e venne licenziata. Ma la Cassazione ha confermato il No al licenziamento di una lavoratrice dipendente di una cooperativa calabrese accusata dal datore di lavoro di aver simulato la malattia perché in uno dei giorni di assenza coperti dal certificato medico la donna aveva partecipato a una manifestazione di protesta, di cui però non si conoscono i dettagli.
In primo grado, il Tribunale di Reggio Calabria nel 2012 aveva confermato il licenziamento, mentre nel 2014 la Corte di Appello reggina aveva dichiarato l'illegittimità della decisione del datore di lavoro e aveva ordinato la reintegra di Maria P. nel suo posto, condannando la cooperativa a pagarle gli stipendi dalla data del licenziamento fino all'effettivo ripristino del rapporto, oltre al versamento dei contributi previdenziali. Ad avviso della Corte di Appello, era da escludere che la donna avesse simulato la malattia dal momento che "una condizione morbosa, diversamente da quanto argomentato nella decisione di primo grado, risultava provata attraverso la produzione dei referti dei medici Inps che, nella loro genericità, confermavano comunque, la sussistenza di uno stato impeditivo della prestazione lavorativa".
Secondo i magistrati reggini, "la patologia era compatibile con la partecipazione alla manifestazione di protesta" e pertanto "era da escludersi la simulazione fraudolenta di una malattia". Senza successo, la cooperativa ha insistito con il ricorso in Cassazione nel chiedere il licenziamento della donna. "Le diagnosi riportate nelle certificazioni acquisite ('sindrome depressiva e stato d'ansia', 'disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso', 'fattore stressante indifferenziato in ambito lavorativo'), d'altronde, sono coerenti con il giudizio espresso dai giudici di merito di condizione non simulata e compatibile con l'accertata condotta di partecipazione", afferma la Suprema Corte nel verdetto 7694 depositato oggi.