A parlare è Caterina, professionista di Lamezia Terme, che la sera del dramma si è trovata sulla stessa strada imboccata dalla giovane mamma in compagnia del nipote: «La giornata più brutta della mia vita»
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«È stata la giornata più brutta della mia vita per me e, soprattutto, per mio nipote di 9 anni, che dormiva sui sedili posteriori della macchina, senza sapere quello che stavamo rischiando». Lei è Caterina, professionista di Lamezia Terme, la sua storia è molto simile a quella di Stefania Signore, la trentenne morta insieme al figlio Cristian di 7 anni per la piena del torrente esondato a San Pietro Lametino. Mentre ancora si cerca l'altro figlio di Stefania, Nicolò, di 2 anni, Caterina ha raccontato all'Agi la sua disavventura, per fortuna a lieto fine.
Anche lei, infatti, era sulla strada di San Pietro Lametino, poco più dietro rispetto a Stefania: «Ho cenato a casa dei miei genitori, poi in serata, poco dopo le 22, sono ripartita per rientrare a casa. Con me è venuto anche mio nipote, per trascorrere il fine settimana insieme». Il dramma si materializza in pochi attimi. La pioggia si fa sempre più incessante, durante il viaggio di ritorno per completare i pochi chilometri che la separano da casa.
«È venuto giù il diluvio. Mio nipote era sui sedili superiori - ha raccontato Caterina - quando la pioggia è diventata sempre più incessante, costringendomi a fermare la macchina. Non si vedeva assolutamente nulla. Alla fine, sono servite sette ore per raggiungere casa, ma non dimenticherò mai ogni attimo di quella notte assurda. Per fortuna, il piccolo si è addormentato».
La condizione è diventata via via sempre più difficile: «C'era acqua e fango ovunque e la strada era sempre più piena di detriti. La pioggia era sempre più forte, alimentata anche da un forte vento. Poi - ha aggiunto - dopo qualche ora, la prima sensazione di un miglioramento che mi ha spinto a ripartire. È durato, però, molto poco, ed è stato in quel momento che sono passata davanti alla macchina di Stefania Signore. Non so se lei fosse ancora dentro. Non ho fatto caso, perché durante il percorso erano diverse le macchine ferme con gli indicatori di direzione accesi per segnalare l'emergenza».
Nell'Alfa Romeo grigia c'erano Stefania e i suoi due figli. O almeno dovevano esserci, dal momento che non è ancora chiaro quando la donna abbia deciso di proseguire a piedi il percorso. «Poco più avanti siamo stati costretti a fermarci nuovamente. C'è stata anche solidarietà tra i pochi automobilisti presenti, ma è in quel momento che abbiamo scoperto di essere in una sorta di imbuto. Dietro, infatti, la strada era in condizioni disastrose, ma non potevamo andare avanti perché i tergicristalli, azionati al massimo, non riuscivano a spostare la mole di acqua che cadeva sul parabrezza. Sono stati momenti drammatici».
Caterina racconta di «acqua alta fino alle ruote della macchina, nonostante fossi alla guida di un Suv. Dopo quasi quattro ore chiusi nell'automobile - aggiunge con un nodo in gola - sembrava tutto quasi irreale, facendo maturare paura e timore. Il piccolo dormiva dietro e non ha mai avuto paura, e questa era l'unica nota positiva». Solo dopo le 4,30 il tempo è migliorato e, dopo circa un'ora, Caterina ha potuto riprendere la strada per il rientro a casa: «Sette ore chiusa in una macchina, con quelle condizioni atmosferiche, sono un'eternità, ti senti impotente, esposta a tutti i pericoli. Una esperienza che non auguro a nessuno e che non dimenticherò, anche se devo riuscire a superarla».
Una esperienza drammatica, ma finita bene. Vissuta a pochi metri di distanza da un'altra tragedia finita male e che ha scosso l'intera Calabria, distruggendo una famiglia.
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