Figlio di un commerciante e di una casalinga. Nato in una famiglia «normale», come lui stesso la definisce, Onofrio Barbieri è entrato a far parte della cosca Bonavota di Sant’Onofrio un po’ perché lui i promotori del clan – «Domenico, Nicola e Pasquale Bonavota» – li ha conosciuti fin da ragazzino – «ci sono cresciuto insieme» – un po’ perché, dice, a Sant’Onofrio «non c’era niente, è un piccolo paese e sono finito a fare questi reati». E tra «questi reati» si contano anche tre omicidi.
Tra le pieghe di un lungo esame, nel corso dell’udienza d’appello del maxi processo Rinascita Scott, viene fuori la vita di Onofrio Barbieri, 45 anni, collaboratore di giustizia da maggio 2023, un’esistenza spesa a entrare e uscire dal carcere.

Una vita reato per reato

La prima rapina l’ha compiuta da minorenne a Pizzo. «Mi hanno arrestato sul fatto», racconta. Poi nel 2004, aveva 24 anni, sono cominciati «i reati con i Bonavota», racconta rispondendo alle domande del pm Annamaria Frustaci.
Omicidi, estorsioni, droga, intimidazioni. I delitti di Raffaele Cracolici, Domenico Di Leo, Domenico Belsito, tutti commessi «per la cosca». «Ho messo bombe. Ricordo a Pizzo, a un locale, per fare un favore ad Andrea Mantella. Una bomba a un bar sulla via nazionale di Pizzo. Una bomba a Filadefia per fare un favore a Rocco Anello. Una bottiglia con benzina e proiettili alla ditta Sardanelli a Maierato». L’elenco prosegue con un danneggiamento alla vetrata della ditta Callipo, in località Angitola, la sparatoria contro la ditta Spi di Maierato.

Le vessazioni alla ditta Sardanelli

Dopo l’omicidio di Raffaele Cracolici, racconta Barbieri, i Bonavota hanno preso piede nella zona industriale di Maierato. Nel 2004 decidono di fare un’intimidazione alla ditta di tonno Sardanelli per «stringerlo». Chiedono soldi e assunzioni. Dal 2004 «al nostro arresto» – dice il pentito – Sardenelli «ha fatto i suoi doveri». Tra questi anche l’assunzione della moglie di Barbieri «voluta da Domenico Bonavota». E quando il pm chiede maggiori delucidazioni su chi sceglieva le assunzioni e sul perché la moglie fosse stata assunta, se perché necessaria o perché imposta, il collaboratore sembra quasi perplesso: «Che c’entra Sardanelli? Decidevamo noi».
Tra l’altro racconta che nel 2016, quando Mantella ha cominciato a collaborare con la giustizia, «io mi dovevo guardare. Avevo fatto dei reati co lui. Così ho preso mia moglie e il bambino e sono andato in un villaggio a Cropani Marina. Ci sono rimasto tre mesi. Sardanelli si è arrabbiato perché mia moglie non andava a lavorare e non la voleva prendere più». Barbieri afferma che prima ci andò a parlare suo fratello e poi lui e la ditta avrebbe ripreso la donna solo che poi «non è voluta più andare mia moglie».

Lo «stipendio» da Domenico Bonavota

In mezzo a tutto questo, la vita di Barbieri è stata costellata di arresti e detenzioni. Dall’arresto in flagranza quando era minorenne a quello nel 2005 per «reati con arma». Esce nel 2006 ma nel 2007 torna dietro le sbarre con l’operazione Uova del Drago e resta dentro fino al 2011. Nel 2016 con l’operazione Conquista c’è un nuovo arresto. Nel 2017 vai ai domiciliari col braccialetto elettronico. Va a vivere a Vena Superiore, una frazione di Vibo Valentia. Tornato sul territorio, racconta, «Domenico Bonavota mi mandava lo stipendio ogni mese tramite mia moglie, visto che io non potevo uscire. Erano 1.500/200 euro al mese. Mi manteneva lui perché appartenevo alla cosca e avevo fatto delitti per loro». Barbieri ricorda che lo “stipendio” lo ha preso anche un altro affiliato, Francesco Salvatore Fortuna, oggi anche lui collaboratore di giustizia.

Niente doti di ‘ndrangheta, «non andavo dietro a queste ca****e»

Onofrio Barbieri dice di non avere mai voluto battezzi di ‘ndrangheta anche se gli sono stati proposti: «Non andavo dietro a queste ca****e». Di doti, cariche e rimpiazzi dice di averne sentito parlare. Come quella volta che ha sentito che Domenico Bonavota e Francesco Fortuna «sono andati da Rocco Anello per dare a Fortuna una carica».

I rapporti con Rocco Anello

«Rocco Anello e suo fratello Tommaso – specifica – comandano a Filadelfia. Rocco Anello ci favoriva per i traffici di droga. Ci dava i soldi per comprarla e per comprare armi, che prendevano ad Africo dai Morabito o da Silvano Mazzeo di Mileto, cognato di Ottavio Galati», elemento di spicco dell’omonima cosca.

L’ultima volta che i carabinieri sono andati a mettergli le manette, racconta, è stato nel 2019 con l’operazione Rinascita Scott. A Maggio 2023 decide di collaborare con la giustizia «perché non volevo più fare quella vita», commenta laconico. Sua moglie, inizialmente, lo ha seguito nel programma di protezione «poi dopo no».