La sentenza ha riguardato il processo nato dall'operazione Porto franco nella quale si ricostruivano le infiltrazioni delle famiglie di 'ndrangheta sui servizi mercantili dello scalo
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Dodici condannati su trentasei imputati che hanno affrontato il processo, solo per pochi regge l'accusa di associazione mafiosa. E poi una sfilza di resti prescritti perché il tribunale non ha riconosciuto l'aggravante mafiosa. Il collegio del tribunale di Palmi ha emesso la sentenza contro le 36 persone rimaste coinvolte nell'operazione Porto franco. La procura antimafia aveva invocato 160 anni di carcere, ma l'ammontare delle pene inferte è molto più esiguo.
Le condanne
Francesco Pesce a 3 anni e due mesi di reclusione (6 chiesti dal pm), Domenico Sibio 7 anni e sette mesi (12 anni), Giuseppe Comandè 6 anni e cinque mesi (12 anni), Domenico Franco 10 anni e sette mesi (16 anni), Francesco Rachele 10 anni (15 anni), Nicola Filardo 6 anni (12 anni), Giuseppe Chindamo 5 anni e sei mesi (7 anni 6 mesi), Angelo Ferraro 5 anni e sei mesi (7 anni), Salvatore Di Bartolo 5 anni e sei mesi (7 anni), Francesco Gaetano 6 anni e sette mesi (7 anni e sei mesi), Domenico Corrao 6 anni e sette mesi (8 anni), Giuseppe Rizzo 6 anni e sette mesi (6 anni).
Le assoluzioni
Sono stati assolti, o i reati contestati sono a dati prescritti, invece, Giuseppe Zungri, Teodoro Aversa, Laura Speranza, Molè Michele, Salvatore Spina, Domenico Valerioti, Diego Giovinazzo, Michele Gullo, Amelia Bonarrigo, Teodoro D’Agostino, Giuseppe Galizia, Rosario Macrì, Raffaele Rizzo, Domenico Luccisano, Danilo Maio, Nicola Rachieli, Natale Calabrese, Carmelo Punteri, Felicia Crisafulli, Renato Gioacobbe, Mario Antonio Rao, Antonio Messina, Pasquale Figliuzzi, Bruno Comandè.
Le indagini
Le indagini della procura antimafia di Reggio Calabria avevano sostenuto l’esistenza di infiltrazioni dei clan Pesce e Molé nell’indotto del terziario che opera nell’area portuale della Piana di Gioia Tauro, con particolare riferimento ai servizi connessi al traffico mercantile generato dallo scalo marittimo e con la conseguente “indebita percezione di rilevanti illeciti profitti”.
I reati contestati a vario titolo sono associazione mafiosa riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose.