Infiltrazione mafiose al porto di Gioia, nove condanne in Cassazione

Si tratta dell'operazione della Dda di Reggio Calabria denominata "Porto franco" che ha dimostrato l'asfissiante controllo della cosca Pesce di Rosarno nelle attività di import-export nello scalo calabrese e sul movimento merci per conto terzi

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di Francesco Altomonte
13 settembre 2019
10:53
Il porto di Gioia Tauro
Il porto di Gioia Tauro

Nove persone sono state condannate in maniera definitiva per le infiltrazioni del clan Pesce di Rosarno al porto di Gioia Tauro. È l’inchiesta denominata “Porto franco”, operazione coordinata dalla Dda di Reggio Calabria contro la potente cosca rosarnese. La sentenza è divenuta definitiva dopo il rigetto da parte della Cassazione dei ricorsi presentati da nove degli 11 imputati che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato.

Condanne definitive

Si tratta di Antonio Franco, condannato a 10 anni di carcere, Franco Rao 7 e quattro mesi di reclusione, Francesco Oliveri 4 anni, Domenico Canerossi 6 e quattro mesi, Rocco Rachele 11 anni, Salvatore Rachele 12 anni, Bruno Stilo 5 anni e sei mesi; Salvatore Pesce 10 anni, e Marco Mazzitelli 2 anni.


Nuovo processo d'appello

Accolto invece il ricorso Giuseppe Franco, difeso dagli avvocati Luca Cianferoni, Massimo Leva e Giovanni Aricò. Il rosarnese era stato condannato in secondo grado a 10 anni di reclusione e, in virtù della decisione della Cassazione, dovrà affrontare un nuovo processo d’appello. Annullamento anche per Giuseppe Florio, ma solo per l’aggravante mafiosa. Il secondo processo d’appello, quindi, servirà solo per la rimodulazione della condanna.

 

Tutti gli imputati erano accusati di associazione mafiosa, riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose.

 

L’indagine della Dda di Reggio Calabria ha dimostrato come la cosca Pesce si era infiltrata nel tessuto economico del porto di Gioia Tauro. Un asfissiante sistema di controllo dei servizi connessi alle operazioni di import-export e di trasporto merci per conto terzi dalle cosche nel porto di Gioia, nonché di ritenere provata l’appartenenza all’organizzazione criminale di stampo mafioso di soggetti, fino ad ora non coinvolti in altre operazioni di polizia.

 

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