Nell'ambito del processo Breakfast, Cosimo Virgiglio racconta come Carmelo Cedro si recò dall’ex ministro per arrivare ad Impregilo e rassicurarla sui cantieri nella Piana. E svela un retroscena: «Scajola massone, era ad una tornata». La strana nomina dell’avvocato Politi: «Mi disse di proteggere i confratelli»
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«Ugolini disse a Cedro: “Va bene ti mando dall’allora ministro delle Attività Produttive” che era Scajola». È un fiume in piena il pentito Cosimo Virgiglio, sentito oggi al processo “Breakfast” che vede sul banco degli imputati l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola e la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, con l’accusa di aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia ancora oggi negli Emirati, sebbene nei suoi confronti vi sia una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sollecitato dalle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Virgiglio ha dapprima ripercorso le sue origini di appartenenza massonica, come già era avvenuto pochi giorni prima nel processo “’Ndrangheta stragista” ed ha poi focalizzato l’attenzione tanto sull’ex ministro Scajola, quanto su Amedeo Matacena.
«Ti mando da Scajola»
A tirare in ballo Scajola fu l’ambasciatore di San Marino, Giacomo Ugolini, personaggio molto vicino a Virgiglio in ambito massonico. Il pentito sapeva dell’interessamento da parte di Rocco Molè dei lavori per l’ammodernamento dell’A3 Salerno-Reggio Calabria. E, per quanto concerne il tratto compreso fra Mileto e Gioia Tauro, le cosche volevano assicurarsi che tutto andasse bene. Era però necessario riuscire a contattare Impregilo, società che si era aggiudicata l’appalto. Bisognava fare in modo che i subappalti andassero alle imprese indicate da Molè. Ed è in questo contesto che si muove l’ambasciatore Ugolini. Bisognava, dunque, andare da Impregilo ed assicurare che, se fossero state rispettate le indicazioni, tutto si sarebbe svolto tranquillamente, senza attentati, danneggiamenti o altro. Ugolini, allora, scese e dimorò all’Hotel 501 di Vibo Valentia. Il tramite di Rocco Molè era Carmine Cedro, imprenditore attivo nel settore della costruzione dei biliardi e dell’affitto delle macchinette da gioco. «I Cedro – spiega Virgiglio – sono stati sempre vicini ai Molè, anche per legami di parentela. Erano le persone di fiducia in determinate situazioni ed avevano amicizie nelle forze dell’ordine. Nell’anno in cui arrivarono a Roma, si fece a Villa Vecchia un campionato nazionale di biliardo e i biliardi li portarono i Cedro. È così che iniziarono ad entrare nel sistema Ugolini». Ed è proprio Ugolini a raggiungere Vibo Valentia e la Piana di Gioia Tauro, assieme al suo segretario Boccardelli. «Ci fu queste riunione, dove non c’era Rocco Molè – aggiunge Virgiglio – ma le sue richieste erano chiare. Allora Ugolini disse “ti mando dal ministro delle Attività produttive che era Scajola e vedi di parlare con lui».
Il procuratore Lombardo, allora, incalza il collaboratore domandando se gli incontri fra Cedro e Scajola ci furono o meno. Virgiglio non ha dubbi: «A detta di Cedro sì, io non ero presente. Ma so che quel giorno che lui stava andando verso Imperia disse “sto andando a casa di Claudio”. Mi disse che dovette fare anticamera, ma che ebbe altri incontri con Scajola. Di certo c’è che Rocco era contento perché aveva preso in mano l’autostrada. Poi se è avvenuto tramite l’intervento di Cedro o meno, non lo so. So che la casa di Scajola si trovava nella provincia di Imperia, non proprio in città».
L’incontro massonico
Ma il racconto su Scajola non finisce qui. Perché Virgiglio ha un altro importante episodio da narrare. Questa volta concernente la sua appartenenza alla massoneria e quella – presunta – dell’ex ministro Scajola. «Una sera, nel corso di una tornata del 2004, a meno che non fosse un sosia, era presente pure lui a San Marino assieme al comandante reggente di San Marino, Marino Meninni o Menicucci, una sorta di primo ministro. Lì ci fu un incontro in cui era prevista l’iniziazione di cinque persone. Ricordo che arrivarono in ritardo e cercarono di mettersi i paramenti per entrare ma gli fu detto di stare calmi e che sarebbero andati poi la volta successiva». Parole che l’ex ministro ha smentito in aula, con dichiarazioni spontanee, dicendo di non essere mai appartenuto alla massoneria.
La difesa imposta dalla moglie
Ma il pentito Virgiglio, sempre su domande del pm Lombardo, racconta anche un altro fatto che coinvolge una delle persone presenti in aula: l’avvocato Corrado Politi. Il collaboratore, infatti, spiega di aver parlato di tutte queste faccende nell’arco dei 180 giorni consentiti dalla legge, ma che nella fase iniziale della sua collaborazione ebbe un collegio di difensori formato, fra gli altri, anche da Corrado Politi. «Nel momento in cui faccio la scelta di collaboratore – spiega – mia moglie non lo accetta e prende le distanze. Tenta di ostacolarmi in tutti i modi, tanto che mi impone anche la nomina di un avvocato, consigliato da sua sorella che è penalista. E così arriva la nomina di Politi. Un giorno, mentre stavo facendo un interrogatorio assieme al mio legale ed ai pubblici ministeri Prestipino e Musarò, la guardia mi avvisa che da Reggio era arrivato un altro avvocato. Mi sposto ed inizio a parlare con lui, era l’avvocato Politi, e mi dice di scaricare tutte le responsabilità sul morto, ossia su Rocco Molè, di salvaguardare i “nini”, che sono i due nipoti giovani di Molè, e se è possibile salvare i fratelli. Poi tira dalla tasca un foglio, dove vi era una lettera di separazione e mi dice che se io non avessi assolto a quelle richieste, lei sarebbe andata avanti e mi avrebbe abbandonato. Io gioco d’astuzia e faccio finta di accettare tutto. Contestualmente, quando siamo arrivati nella sala dove ci attendevano Prestipino e Musarò ho fatto la revoca immediata dell’avvocato Politi».
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