È quanto evidenzia il gip del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di quattro dei sei fermati dalla Dda di Catanzaro
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Avrebbero non solo auspicato la morte di Rosaria Scarpulla, ma anche «progettato la sua uccisione qualora non avesse, nonostante la lezione impartita», - cioè l’autobomba costata la vita al figlio Matteo ed il ferimento del marito - fatto marcia indietro sui fondi di famiglia presi di mira dai Mancuso-Di Grillo. È quanto evidenzia il gip del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di quattro dei sei fermati dalla Dda di Catanzaro nell’ambito dell’operazione denominata “Demetra”.
Per il giudice, le risultanze investigative dei carabinieri non escludono la maturazione «di propositi altrettanto brutalmente estorsivi» nei confronti di Rosaria Scarpulla verso la quale i Di Grillo-Mancuso nutrivano un «profondo ed insanabile odio auspicandone la morte», tanto da definire la famiglia Vinci-Scarpulla come un “cancro” da estirpare e comunque destinataria di «improperi, maledizioni ed auspici di morte ovvero progetti di uccisione».
Pianificatori, ideatori e organizzatori del micidiale agguato costato la vita a Matteo Vinci vengono indicati Rosaria Mancuso, Lucia Di Grillo e Vito Barbara. Emerge altresì che i tre sarebbero stati attentissimi alle notizie giornalistiche uscite all’indomani dell’autobomba e nei giorni seguenti, spiegando altresì che la notizia finita su qualche organo di stampa relativa al ritrovamento di un bastone vicino al cancello delle proprietà dei Vinci-Scarpulla, era solo “un’invenzione”, nulla di preoccupante, insomma, a fronte di quello che era realmente accaduto, ovvero l’autobomba.
Rosaria Mancuso ed il genero Vito Barbara avrebbero inoltre auspicato che le forze dell’ordine mettessero sotto protezione i Vinci-Scarpulla in modo tale da allontanare definitivamente la famiglia dai propri terreni di Limbadi che così sarebbero rimasti liberi e più facilmente occupabili da parte dei Mancuso-Di Grillo. Lo stesso grave ferimento di Francesco Vinci sarebbe stato visto dai Mancuso-Di Grillo come una circostanza che avrebbe impedito a Vinci di coltivare il fondo agricolo tanto da lasciarsi andare a commenti del tipo: «Le ustioni non passano mai, deve stare a letto, i muscoli si afflosciano, non riesci neanche più a muoverti».
Il terreno, nei ragionamenti dei Mancuso-Di Grillo, sarebbe così passato “di fatto” nella disponibilità dei Mancuso. Se così non fosse avvenuto, non restava che convincerli a cedere attraverso il completamento dell’opera, ossia l’eliminazione fisica di Rosaria Scarpulla e del marito Francesco Vinci. L’aggravante delle modalità e finalità mafiose nelle condotte degli arrestati, per il gip non è dunque da rinvenirsi nella supposta “benedizione” all’autobomba da parte del boss Antonio Mancuso (zio di Rosaria Mancuso), «bensì dall’escalation criminosa».
Sul punto, anzi, il giudice sottolinea l’assenza di tale “benedizione”, in coerenza con la «generale disapprovazione e le distanze prese dal resto della famiglia» Mancuso rispetto alle scelte dei Di Grillo-Mancuso. Il gip fa inoltre notare che la frase sul supposto placet che il boss Antonio Mancuso (non indagato) avrebbe dato all’azione delittuosa, va attribuita non a Rosaria Mancuso, bensì al suo interlocutore, ovvero a Domenico Mancuso, detto “The Red”, figlio di Diego Mancuso, quest’ultimo fratello di Rosaria Mancuso.
In sostanza, Rosaria Mancuso, la figlia Lucia Di Grillo ed il marito di quest’ultima, Vito Barbara, avrebbero agito secondo la logica «dell’accaparramento, in dispregio e delle regole e delle statuizioni ordinamentali, mediante imposizione, costrizione e assoggettamento alla supremazia, indiscutibile - sottolinea il giudice - ed incontrastabile dei Mancuso, la cui negazione, resistenza ed opposizione a pretese indebite andavano combattute, stroncate ed infine punite anche mediante gesti estremi, eclatanti e terroristici, dimostrativi e riaffermativi del totale controllo del territorio e della sudditanza della collettività».
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