Papa Pio XII — al secolo Eugenio Pacelli — fu una delle figure più complesse e alte del Novecento cattolico. Uomo di raffinata cultura, teologo rigoroso, pontefice in anni durissimi. Il suo magistero, segnato da riserbo e fermezza, ha lasciato un’impronta profonda nella Chiesa e nella storia. Ma c’è un episodio, tragico e quasi surreale, che macchiò le ultime ore del suo corpo terreno: una delle più disastrose imbalsamazioni mai avvenute sotto gli occhi del mondo.

Un pontificato nel tempo della prova

Il pontificato di Pio XII coincise con una delle stagioni più buie del secolo scorso. La guerra, la persecuzione, l’equilibrismo necessario per non peggiorare tragedie già in atto: fu un compito immane, che affrontò con la grazia del silenzio operoso. Nonostante il dibattito storiografico acceso su alcune sue scelte, nessuno può negare l’enorme peso spirituale e morale che portò sulle spalle. Ed è proprio per questo che il modo in cui venne trattato il suo corpo dopo la morte appare tanto più ingiusto.

L’archiatra che non avrebbe dovuto esserci

Quando Pio XII si aggravò, nell’ottobre del 1958, fu assistito nella residenza di Castel Gandolfo. Tra i medici presenti vi era Riccardo Galeazzi Lisi, archiatra pontificio: un oculista che godeva ancora di titoli onorifici, ma che il Papa, ormai da tempo, aveva allontanato moralmente. Si racconta che, venuto a conoscenza della vendita di notizie riservate da parte del medico, Pio XII gli avesse rivolto queste parole: «Non voglio affamare né svergognare nessuno… se vuole stare in Vaticano che stia, ma faccia in modo che io non lo veda». Parole di misericordia e dignità, che si scontreranno presto con la realtà più amara.

Un esperimento fallito, una tragedia annunciata

Alla morte del Papa, avvenuta il 9 ottobre, l’imbalsamazione venne affidata proprio a Galeazzi Lisi. Questi affermò di avere un metodo rivoluzionario, ispirato alle antiche tecniche cristiane e rispettoso della volontà del Pontefice di non essere svuotato dei suoi organi. Il trattamento, basato su erbe, resine e cellophane, si rivelò però un disastro. Il corpo, anziché conservarsi, subì una decomposizione rapidissima. Durante l’esposizione, il volto del Papa si gonfiò, la pelle si annerì, l’odore divenne insostenibile. I testimoni raccontano di guardie svizzere costrette a turni brevissimi per non svenire, e di un pubblico costernato di fronte a una scena che mai avrebbe voluto vedere. Durante il trasporto da Castel Gandolfo a Roma, accadde l’impensabile: il corpo, ormai compromesso, esplose nel torace sotto la pressione dei gas interni. Un evento agghiacciante, che rese necessario un intervento d’emergenza per ricomporre la salma. Si dice che, nella notte, il cadavere fu tolto dal catafalco e sottoposto a un secondo trattamento, questa volta con tecniche tradizionali. Al volto venne applicata una maschera di lattice per coprire i segni ormai irreparabili.

Una fine che non onorava la sua vita

È difficile trovare parole adeguate per descrivere quanto accadde. Quel corpo, che per vent’anni era stato segno visibile della guida spirituale della Chiesa, fu esposto allo sguardo del mondo in condizioni indegne. Non per sua colpa, ma per l’improvvisazione e la vanità di chi avrebbe dovuto servirlo con discrezione e onore. Pio XII non meritava questo. Merita invece di essere ricordato per ciò che è stato: un uomo di Dio, un Papa austero, profondo, fedele. La macchia della sua imbalsamazione non può offuscare la luce della sua testimonianza.

L’epilogo del medico

Galeazzi Lisi fu radiato dall’Ordine dei Medici, cacciato dal Vaticano, e per decenni additato come simbolo di superficialità e cinismo. Provò a giustificarsi in un libro, vendette fotografie del pontefice agonizzante, ma non riuscì mai a ripulire il proprio nome. L’episodio, per quanto grottesco, segnò un punto di svolta nella gestione dei corpi papali: da allora, ogni trattamento viene eseguito da specialisti certificati, secondo protocolli rigorosi e discreti. La dignità, finalmente, è diventata norma.

L’onore del Papa

A distanza di anni, quel che resta è il dolore per un epilogo indegno di una figura così alta. Ma anche la consapevolezza che la vera grandezza di Pio XII — la sua sobrietà, la sua fede, il suo sacrificio — non furono mai scalfiti, nemmeno dalla morte.