«Abbiamo il diritto di tornare a fare la dialisi a Reggio. Non possiamo viaggiare perché non siamo in grado. Quando terminiamo la dialisi non stiamo bene, non siamo più persone efficienti». Continua l’emergenza dialisi nel reggino. Tante le testimonianze, come quella della signora Cettina Scopacasa, raccolte in questi giorni dalla nostra testa proprio in riferimento all’ “odissea” che i pazienti sono costretti a subire perché in città ancora non esiste un centro dialisi e perché il reparto di nefrologia dell’ospedale cittadino può garantire il servizio “solo” a cento persone, escludendone così una cinquantina. Nello specifico 34 pazienti si recano a Messina, in un centro privato sovvenzionato dalla Regione Calabria, altri 12 a Scilla, all'ospedale "Scillesi d'America", mentre in sei effettuano la dialisi a Melito Porto Salvo all’ospedale  “Tiberio Evoli”. Se per i dializzati “in trasferta” oltre lo Stretto la Regione ha previsto un servizio “navetta”- che comunque costringe i pazienti del turno mattutino ad alzarsi alle 4 di notte- i malati in cura a Scilla e a Melito invece, devono recarsi ad effettuare il trattamento con mezzi propri. Come appunto la signora Cettina che per 4 anni è stata costretta a sottoporsi alla dialisi a Scilla, tre volte la settimana. Adesso la donna si sta curando in città ma, perché è stata molto male;  «non ci si può augurare però di peggiorare- ci dice- per potersi curare a Reggio».

Il calvario dei pazienti

Un vero e proprio calvario questo a cui sono sottoposti anche i tanti familiari dei dializzati. « Per andare a Scilla- ha dichiarato alla nostra testata la signora Scopacasa- mio marito nella stessa giornata faceva ben 4 volte il tragitto. Io, a volte, stavo malissimo, perché ho la pressione bassa e quando uscivo mi “collassavo” e mio marito era costretto a fermarsi, durante il viaggio in autostrada, per rianimarmi. Scilla sembra vicino ma, non è così. Sono oltre trenta chilometri e per chi sta male è faticoso stare in auto». Rabbia  e frustrazione, per le tante inefficienze della sanità calabrese, attraversano l’animo dei dializzati reggini. I pazienti sono esausti e stanchi delle tante promesse non rispettate fino ad ora. «Alle Istituzioni dico- ha concluso la signora Cettina- che noi siamo persone, siamo cittadini e da cittadini abbiamo il diritto ad essere curati nella nostra città. Noi le tasse le paghiamo, perché invece loro non garantiscono il nostro diritto alla salute? Siamo stati abbandonati, abbandonati da tutti. Loro portano le persone a Messina per interesse, lo fanno per una questione di soldi. Per i dializzati di Scilla e di Melito dovevano anche predisporre dei pullman ma, non si è interessato nessuno. Ci hanno lasciati da soli e allo sbaraglio».

 

Le richieste e l’impegno dell’Aned

«Da quasi un anno su pressante sollecitazione dell’Aned, l’associazione che da 45 anni si sforza di tutelare i diritti dei cittadini con malattie renali, si tengono tavoli tecnici in prefettura nella Città Metropolitana di Reggio Calabria, per dare risposte certe ai cittadini di Reggio Calabria affetti da patologia renale in trattamento sostitutivo (emodialisi), costretti, anzi obbligati trattandosi di terapia salvavita, tre giorni la settimana a fare la spola tra Scilla e Cariddi (Reggio e Messina), per l’assoluta mancanza di posti rene nella città della Fata Morgana». Lo afferma in una nota Aned Calabria. Per il dodici settembre, il prefetto reggino Michele Di Bari, ha convocato un tavolo tecnico che segue l’incontro avvenuto lunedì scorso in seguito al quale il palazzo del Governo «ha sollecitato l’ASP e l’Azienda ospedaliera ad attuare, in tempi strettissimi, gli interventi concordati». Per Aned Calabria questa è «una situazione eticamente riprovevole, non più sostenibile per i malati (per lo più anziani) e le famiglie, un ulteriore esempio di migrazione sanitaria con aggravio di spese per il disastrato bilancio sanitario regionale. In tali incontri, al quale hanno sempre partecipato rappresentanti delle istituzioni locali (città metropolitana e comune), i vertici dell’azienda sanitaria, l’Aned, i delegati del “dipartimento tutela della salute” della Regione Calabria, alcuni medici nefrologi, i vertici del “Grande Ospedale Metropolitano della città”, sono stati assunti precisi impegni sulla risoluzione definitiva del problema.

 

A queste dichiarazioni d’intenti, chiosa l’associazione,  ad oggi non ci risulta che siano seguiti atti consequenziali. Anzi sembra non si voglia ripartire proprio da quei punti fermi stabiliti e condivisi da tutti. Con grande chiarezza e fermezza, riaffermiamo che per Aned garantire a questi pazienti il trattamento dialitico a Reggio Calabria presso un centro dialisi territoriale  deve essere l’occasione, per il sistema sanitario regionale, di dimostrare che la capacità di occuparsi dei più deboli non è considerato solo un onere ma un impegno etico e civile. Aned farà fino in fondo la sua parte in questa battaglia culturale, professionale, civile, per giungere al risultato atteso dai pazienti in dialisi e dalle loro famiglie, ponendo la parola fine a questa odissea. Si rimuovano quindi celermente da parte del Dipartimento tutela della salute della Regione Calabria gli ostruzionismi burocratici che impediscono il riconoscimento di una grave situazione di emergenza e si confermi chiaramente e senza equivoci linguistici l’ esplicitazione del fabbisogno già prodotto dall’ASP ormai da tanti mesi requisito necessario per la realizzazione di tale centro. Soltanto cosi dunque, il terzo turno di dialisi potrà rappresentare un soluzione tampone a tempo limitato per riportare al più presto i nostri malati nella nostra città, dando dimostrazione di buona fede e di efficienza del sistema».

 

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