Sia alla leader di FdI che a Matteo Salvini non viene perdonato il voltafaccia nei confronti del presidente russo, per anni incensato e apprezzato dagli esponenti de sovranismo italiano ma anche da quelli del populismo pentastellato di Grillo e D Maio
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Sono tempi duri per Giorgia Meloni e Matteo Salvini in queste ore, infatti, le vecchie simpatie verso Wladimir Putin riemergono prepotentemente. La rete in questo senso è una potente centrale di ricordi. Un rapido archivio storico alla portata di tutti e in tempo reale. Le prese di posizione a favore dell’Ucraina e di condanna verso la Russia si rivelano fatali per i due leader del sovranismo nostrano, almeno a leggere i social. Militanti e simpatizzanti della destra sovranista italiana cresciuti con il mito di Putin e del nazionalismo russo non ci stanno proprio a subire il voltafaccia dei loro leader.
Anche se, ad onor del vero, in quanto a scheletri nell’armadio relativamente ad attestati di stima verso il Presidente russo non hanno scherzato nemmeno i leader del populismo grillino, a cominciare da Beppe Grillo che di fronte al dialogo instaurato da Trump e Putin aveva affermato: «Due giganti come loro che dialogano: è il sogno di tutto il mondo!», subito rilanciato da Di Maio, attuale ministro degli esteri, il quale sosteneva che «l’alleanza Trump-Putin ci deve rassicurare».
Salvini diventa atlantista (dopo molte piroette)
Ma partiamo dal leader leghista. Nelle ore scorse sono state riesumate vecchie prese di posizione a favore di Putin da parte del leader del carroccio, il quale, nel corso degli anni non ha nascosto il suo sostegno al presidente russo. Foto con felpe e t-shirt pro Putin, infatti, nel corso degli anni si sono sprecate. Numerosi anche i suoi viaggi nei presi dei sobborghi del potere del Cremlino. Il leader del partito di “Alberto da Giussano”, il 2015, meno di 7 anni fa affermò: «Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!». Sempre nello stesso anno: «Io credo che la Russia sia sicuramente molto più democratica dell’Unione Europea di oggi, una finta democrazia. Io farei a cambio, porterei Putin nella metà dei paesi europei, mal governati da presunti premier eletti che non sono eletti da nessuno, ma telecomandati da qualcun altro».
Per non parlare della posizione del senatore Salvini sull’Ucraina, correva l’anno 2014, e tuonava: «Non si rompano le palle a Putin». Insomma per recuperare una identità atlantista Matteo Salvini ha dovuto compiere piroette a rotta di collo, il cui epilogo si può sintetizzare nell’immagine di un Salvini che, l’altra sera, a testa bassa, deponeva un mazzo di fiori sul portone dell’ambasciata ucraina, quasi a voler cospargersi il capo di cenere. Le parole forti, a ruota libera, avventate di qualche tempo fa, oggi, tuttavia, riemergono in tutta la sua tragica comicità e non restituiscono, purtroppo, credibilità ad una classe dirigente alle prese con la propria inadeguatezza.
La Meloni condanna Putin ma la base la contesta
Inadeguatezza rappresentata anche dalla leader della destra italiana. L’erede della tradizione del Msi, Giorgia Meloni. Premier in pectore, in caso di vittoria del centrodestra, almeno, nella versione pre-elezioni del Quirinale e al netto dai rigurgiti neocentristi del quadro politico. In queste ore, dunque, anche la Meloni è attivamente impegnata a cancellare le dichiarazioni d’amore pro Putin del passato. Con buona pace della pitonessa, Daniela Santanchè, anche lei arruolata nelle fila della fratellanza italica, che fino a qualche tempo fa sosteneva: «Ci sono tante ragioni per cui dovremmo essere dalla parte di Putin».
Oggi la non può certo affermare di essere dalla parte di Putin, la sua leadership nel centrodestra è già abbastanza precaria. Un’affermazione che solo giustificasse Putin minimamente, la confinerebbe allo stesso ruolo della Le Pen in Francia. La Meloni, a questo punto, sarà costretta a decantare la sua fede atlantista fino alla nausea. Un imperativo categorico, se vuole avere qualche chance nella conquista di palazzo Chigi. Quanto poi questa fede atlantista sia credibile, questa è tutta un’altra storia. Un tale cambio di posizione però, non è stato molto apprezzato dai suoi militanti, almeno a leggere alcuni commenti social di queste ore.
E, d’altronde, i sostenitori della Meloni, in questi anni, sono stati abituati a ben altri slogan. La leader di FdI, dunque, alle 9:02 di ieri twitta la sua posizione sull’aggressione della Russia all’Ucraina: «Inaccettabile attacco della Russia di Putin contro l’Ucraina. -Scrive la leader di FdI sul suo profilo twitter subito rilanciato dal profilo del partito - L’Europa ripiomba in un passato che speravamo di non rivivere più. Occidente e comunità internazionale siano uniti nel mettere in campo ogni utile misura a sostegno di Kiev e del rispetto del diritto internazionale».
Apriti cielo. Sui social scoppia il finimondo. E l’accoglienza non è delle migliori. La Meloni è quasi accusata di alto tradimento. Un certo Sandro Bertonati commenta: «Il popolo ucraino ha sofferto anche troppo, sono 8 anni che è in atto un genocidio della popolazione russa nel Donbass messa in atto dai soliti attori che ora stanno distruggendo la popolazione italiana. Putin quando hai finito lì, ti prego, ricordati di noi, vieni a far pulizia anche qua».
Sullo stesso tenore anche il commento di Stefania Venturini: «Leggere commenti che dimostrano come le persone si sono svegliate riempie il cuore di gioia e speranza. Per anni abbiamo creduto che la politica fosse dalla parte del popolo italiano ma grazie a quest'ultimo anno abbiamo visto quanti, tutti voi, siate marci fino al midollo. Ci vorrebbe un Putin anche in Italia, ma in realtà lo abbiamo, per fare una pulizia radicale di voi tutti, zecche infestanti, sanguisughe luride e lerce».
Incalza Anna De Rosa: «Meloni...la prego non inizi anche lei, ne abbiamo a sufficienza di gente che fa fare figure di m... al popolo italiano. Per qualche giorno stia in silenzio così recuperiamo la figuraccia fatta a causa di Di Maio. Tutte le volte che aprite bocca, noi italiani ne usciamo sempre più analfabeti e ignoranti». E ancora: «Perché l'Ucraina è un alleato? Sono forse state attaccate truppe Nato sul suolo Ucraino? Se sì perché erano lì? La Nato poteva espandersi oltre l'Elba secondo i patti post bellici fra Russia e Usa? Perché Zelensky non dichiara quanti civili sono stati uccisi (sono stati uccisi?)? Mi sa Giorgia che hai studiato poco la storia e le dinamiche internazionali... oppure come altri sei pagata per non seguire gli interessi del popolo (italiano )....» scrive Pablo Conte Tondin.
E via con commenti di questo tenore, sono a centinaia e in risposta al post della Meloni. Scrive Nica Vero: «Parlaci anche del Donbass. Il sostegno lo state dando agli Stati Uniti, ipocriti». Insomma a leggere queste prese di posizione, più che Fratelli d’Italia questi sembrerebbero “fratelli di Russia”, più che la leadership della Meloni sembrano i nipotini del nuovo Zar di tutte le Russie.
I consigli anti atlantismo alla Giorgia nazionale si sprecano, come quello di Lorenzo Guicciardini, il quale scrive: «Cara Meloni, lasci perdere queste situazioni protegga l’Italia e gli italiani e ce lo dimostri con i fatti, le questioni Russe non ci devono riguardare, si deve assolutamente allontanare dal pensiero filo Americano/Nato e di certa Europa!! Voglia bene alla sua nazione».
Il risentimento sulla posizione anti Putin espresso dalla leader di FdI si incrocia con quello dei no vax, altra categoria con i quali il partito della Meloni ha scimmiottato in questi mesi. Scrive Antonietta Falco: «Ma per favore, lo ha capito o no che una bella parte degli italiani ha capito??? Ma lei dove vive e, soprattutto, da che parte sta??? Sarebbe invece opportuno che lei si fosse spesa di più per i diritti dei 50enni ora senza lavoro, si vergogni!».
Insomma un dilemma vero quello della Meloni che si sintetizza proprio con lo stesso interrogativo di uno dei commenti: da che parte sta la leader di Fratelli d’Italia? Un interrogativo al quale nei prossimi mesi dovrà dare una risposta chiara, netta e senza ambiguità, alla luce anche del nuovo ordine mondiale che si va delineando dopo la crisi Ucraina. Un interrogativo a cui non basterà rispondere con: «Io sono Giorgia».
La crisi di classe dirigente italiana
Di fronte alla drammatica crisi di classe dirigente e leadership politica del nostro paese, con profonda nostalgia risuonano i toni di un intervento di un grande statista italiano del passato che alla conferenza di pace di Parigi dopo la seconda guerra mondiale, in rappresentanza di un paese sconfitto, ma con la dignità di rappresentare la storia di un grande paese, e con la fierezza e lo spessore di un grande statista, esordiva al cospetto dei nuovi padroni del mondo con queste parole: «Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l'essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione. [...] Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano, ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le sue aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionalistiche dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire».
Quell’intervento fu ascoltato nel silenzio surreale dei grandi del nuovo mondo. Quella conferenza non ci concesse niente sul piano materiale, ma l’Italia riconquistò il rispetto e l’onore che aveva perduto nel corso di un ventennio di follia. Quello statista si chiamava Alcide De Gasperi. Oggi noi, avremmo bisogno come il pane di riconquistare quel rispetto che abbiamo perduto da un pezzo.