Siccome in Calabria non ci facciamo mancare nulla, di ultimi giapponesi ne abbiamo addirittura due, Mario Occhiuto e Mario Oliverio. Probabilmente quasi tutti sanno perché si usa questa metafora per indicare l’ostinazione dei due Mario a non recedere dalla volontà di candidarsi alla presidenza della Regione, nonostante il niet del Pd per il governatore e il veto della Lega che ha detto No al sindaco di Cosenza. Ma a beneficio di quei pochi che non lo sapessero, vale la pena ricordare chi era l’ultimo giapponese.

L'irriducibile

Si chiamava Hiroo Onoda ed è morto nel 2014 alla veneranda età di 91 anni. Per trent’anni, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si era rifiutato di arrendersi, convinto che il conflitto fosse ancora in corso. Per una vita ha continuato a nascondersi nelle foreste dell’isola filippina sulla quale era stato inviato per contrastare la controffensiva degli americani nel Pacifico. Quando era stato mandato in missione aveva ricevuto l’ordine di non arrendersi mai. Per nessun motivo. E così ha fatto per tre decenni, anche se non c’era più nessuno a cui consegnarsi ma solo squadre di ricerca che periodicamente furono mandate a stanarlo per convincerlo che tutto era finito e riportarlo in patria. Nel 1952 vennero anche lanciati da un areo foto della sua famiglia e volantini sui quali era scritto che la guerra era terminata da un pezzo. Ma lui niente. Non ci ha mai creduto, ha obbedito agli ordini ed è rimasto rintanato nella giungla per altri due decenni, fino a quando, nel 1974, il suo vecchio ufficiale riuscì a rintracciarlo e a convincerlo che la guerra era davvero finita nel 1945. Ormai cinquantaduenne, tornò finalmente in Giappone e venne accolto con tutti gli onori dalle autorità nipponiche e dai suoi concittadini.
L’ultimo giapponese, dunque, fu considerato un eroe. Uno che, nella convinzione di servire il proprio Paese, ha sacrificato la sua intera gioventù vivendo di stenti nell’umidità di una foresta pluviale, combattendo contro i fantasmi di un conflitto che non c’era più.

 

I giapponesi di Calabria

La distanza tra l’autentico “ultimo giapponese” e Oliverio e Occhiuto è dunque incommensurabile.
Anche i due Mario non si arrendono, asserragliati nella trincea elettorale che si sono scavati con le proprie mani, ma di eroico c’è ben poco.
Entrambi parlano di una “candidatura nata dal basso”, come se i comitati di sostegno che a giorni alterni vanno a inaugurare non fossero frutto della macchina propagandistica che hanno messo in piedi da mesi, studiando a tavolino le mosse da fare e gli appuntamenti pubblici da promuovere.
Entrambi se ne fregano alla grande degli “ordini”, declinando l’appartenenza politica a un partito e a uno schieramento solo in funzione alla propria utilità.
Entrambi si dicono pronti ad andare avanti anche uscendo dal Pd (Oliverio) e dal centrodestra unito (Occhiuto). Il sindaco di Cosenza ha almeno la legittimazione formale, anche se probabilmente fasulla, del suo partito, Forza Italia. Il governatore uscente, invece, non ha neppure quella, visto che Zingaretti gli ha chiesto da tempo di deporre le armi e farsi da parte.
Entrambi se ne infischiano delle conseguenze politiche della loro ostinazione, più attenti al risultato personale che alle sorti della propria fazione, come se la militanza a destra e a sinistra sempre ostentata mostri ora la corda usurata della sua vera natura utilitaristica.
Entrambi hanno conti in sospeso con la Giustizia, ma invece di concentrarsi su quelli, come farebbe qualunque povero cristo che vuole dimostrare di essere innocente, sono impegnati H24 a promuovere la propria autocandidatura, forse consapevoli che senza l’ombrello di un incarico elettivo sono più vulnerabili.
Infine, entrambi si rivolgono ai calabresi, quelli che votano, ridotti a fare da fondale colorato sul palcoscenico della solita commedia, in cui la Calabria, con le sue emergenze e i suoi drammi, è solo retorica un tanto al chilo da inserire nelle brochure elettorali.

degirolamo@lactv.it

 

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