«Di questo parliamo un’altra volta». Così il governatore Mario Oliverio ha liquidato la domanda posta dalla collega Rossella Galati in ordine alla verifica di maggioranza che era stata messa in calendario lo scorso 31 luglio e che a settembre è magicamente evaporata.

Durante l’ultima riunione del Consiglio regionale (che riprenderà la propria attività il prossimo 12 settembre dopo 41 giorni di ferie), il centrosinistra aveva nuovamente dato spettacolo con la propria crisi interna. In apertura dei lavori, uno dietro l’altro, Enzo Ciconte e Carlo Guccione avevano annunciato la propria autosospensione dal gruppo del Pd. In aperto contrasto con la gestione Oliverio, la giunta dei tecnici e la guida del gruppo del Pd. Ciconte, a chiare lettere, aveva spiegato come il ricorso ai tecnici avrebbe dovuto essere una soluzione straordinaria e non trasformarsi in una scelta stabile in grado di mettere ai margini il Consiglio regionale.

La scelta di Ciconte e Guccione era stata preceduta, appena qualche settima prima, dall’autosospensione di Domenico Bevacqua. Nell’intervallo fra le autosospensioni un’altra pericolosa fuoriuscita: il segretario questore Giuseppe Neri, l’ex presidente del Consiglio Antonio Scalzo e il presidente della Commissione Affari Istituzionali Franco Sergio annunciavano la propria fuoriuscita dai gruppi di appartenenza (i primi due dal Pd, il secondo dalla Oliverio Presidente) per andare a formare il nuovo gruppo Moderati per la Calabria. Una vera e propria emorragia alla quale va aggiunto l’abbandono, ormai molto risalente, di Vincenzo Pasqua avvicinatosi al centrodestra.

Non ci sono più i numeri

Con sette elementi in meno, in teoria, il centrosinistra non avrebbe più i numeri per governare. E le difficoltà immani dell’attuale governo si erano già manifestate nelle precedenti sedute consiliari quando in ben 7 occasioni su 8, l’Assemblea ha dovuto interrompere i lavori per assenza del numero legale. E se li ha completati lo ha fatto per il contributo del centrodestra rimasto in Aula, sebbene ad ogni occasione ci sia chi, come Alessandro Nicolò, dica che Oliverio deve andare a casa.

Lo stesso Oliverio, sempre durante la stessa seduta del 31 luglio, non ha potuto fare a meno di prendere atto della situazione e di chiedere, con veemenza, al presidente Irto di convocare al più presto una seduta ad hoc per discutere della situazione in modo che ognuno potesse assumersi le proprie responsabilità. Una sorta di “se non ci sono i numeri tutti a casa”. Bene, quella richiesta si è persa sotto gli ombrelloni della costa. Il Consiglio è stato convocato per il 12 settembre e per il 20 senza che all’ordine del giorno sia stata inserita la discussione richiesta da Oliverio, né la Conferenza dei capigruppo ne ha fatto in alcun modo cenno. Né in questo mese e mezzo nessuno ha provveduto a riunire il partito o il gruppo. Eppure, nel recente passato, la sospensione dal gruppo di big del calibro di Giuseppe Bova e Nicola Adamo aveva provocato la loro immediata sospensione dal partito. Già forse perché all’epoca un partito esisteva. Oggi, invece, nel Pd diventato terra di nessuno ognuno fa un po’ quello che gli pare. Ad esempio Giuseppe Neri è alla seconda sospensione dal partito. Aveva già fatto questo giochetto mentre era consigliere provinciale appena qualche anno fa.

Il gioco delle parti

Cosa succederà dunque? Assolutamente nulla. Per dirla con Oliverio se ne discuterà un’altra volta. Anche perché, diciamolo chiaramente, non c’è proprio nulla da verificare e il governo Oliverio non rischia di perdere niente. Altrimenti lo avrebbero già buttato dallo scranno.

I movimenti dei suoi sono soltanto volti ad avere visibilità politica e a ricavarsi spazi per i prossimi appuntamenti elettorali. Alla fine, quando c’è stato da approvare il rendiconto del Consiglio (e dunque pagarsi lo stipendio), tutti i guerrafondai da Neri a Guccione erano presenti in Aula a votare sì invece di far saltare il banco.

Stesso ragionamento per l’opposizione che, tantissime volta, ha mantenuto in Aula il numero legale e non si è mai messa di traverso nei momenti topici. Perché nessuno del centrodestra, a parte vuote critiche, ha nessuna intenzione di rinunciare anzitempo alla poltrona e allo stipendio. Lo hanno dimostrato anche i neo eletti in Parlamento Wanda Ferro e Francesco Cannizzaro che prima di optare per il seggio a Roma hanno occupato scranni e strutture fino all’ultimo giorno utile.

Ed allora sì rinviate la discussione alla prossima volta. Anzi, non fatela proprio che neanche i calabresi, ormai abituati a tutto, si meritano un simile spettacolo.

 

Riccardo Tripepi

 

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