Osserviamo attoniti implodere la democrazia, oppressa da muri di gomma e vicende non ben definite, incapace di progredire in modo retto e giusto verso il sommo bene, responsabiliuomini ad essa preposti, ormai non idonei a dirigere la cosa pubblica
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Le dichiarazioni del magistrato Di Matteo, sono note e nota altresì la risposta dell’attuale Ministro di Grazia e Giustizia Bonafede.
Come cittadini ci troviamo di fronte ad un aut aut: a chi credere?
Perché in base alla vecchia chiave di lettura, ad una verità si contrappone una falsità- dialettica tra i protagonisti e contrapposizione oggettiva tra vero o falso- uno dei due dovrebbe mentire e l’altro dovrebbe dire la verità.
Credere all’uno o all’altro diventerebbe così un atto di fiducia nel prescelto.
Ma il conferire fiducia è di base politica; è di carattere soggettivo, non è un parametro per sostenere di essere ancorati alla verità.
Non è un caso che Leonardo Sciascia, al primo e terribile episodio nel quale la confusione tra verità e falsità fu creata ad arte, rispose sostenendo che in quelle circostanze era stata uccisa la verità.
L’episodio al quale si riferisce Sciascia è quello di Portella della Ginestra (1° Maggio 1947) e della successiva uccisione del bandito, Salvatore Giuliano.
Potremmo continuare a lungo ma arriviamo alla strage ultima, quella di Borsellino e del processo che ne seguì.
In un paese civile, degno delle sue Istituzioni democratiche, si costruisce affidabilità e solidità, su criteri indiscutibili, quali la trasparenza e il merito.
Non sarà passata inosservata la polemica sulla mancata nomina al DAP (Dipartimento amministrazione penitenziaria) tra il Magistrato Nino Di Matteo e il Ministro della Repubblica Bonafede, ancora accesa, densa di lati oscuri e incertezze.
Nonostante sia trascorso oramai del tempo, il suo predecessore e oggi segretario del (PD) Andrea Orlando, difende il collega oltre ogni ragionevole dubbio,anche se la dialettica generata provoca notevoli conseguenze sulla vita Istituzionale del Paese.
Di gran lunga conveniente e utile sarebbe un chiarimento della vicenda, in sedi Istituzionali oltre che giudiziarie.
Una questione scottante, al pari di un tizzone ardente, scoppiettante,degno della narrazione mitologica sull’invulnerabilità di Meleagro.
Lirio Abbate, il vicedirettore dell’Espresso, ospite di Omnibus La7, ha opportunatamente dichiarato: “Esiste qualcosa di strano” e tanto efficace da interferire con l’intenzione di un ministro di procedere ad una nomina, un tempo destinata a Falcone e oggi diventata a causa della riorganizzazione del ministero “un ruolo subalterno ad altri".
Un vero e proprio scontro tra autorità politica e magistratura, a quanto pare, immune dall’appartenenza politica, su nomine annunciate poi ritirate o smentite.
Nella storia della Repubblica partitocratica ad oggi, si reiterano biechi meccanismi, favoritismi, strumentalizzazioni ai quali giammai ci adegueremo abbastanza,ma in questo caso i fatti, sebbene ancora non acclarati del tutto-emettono un suono minaccioso, sul regolare ed efficace andamento della pubblica amministrazione.
Episodio davvero increscioso, in grado di suscitare la medesima amarezza e la delusione, come fu per l’allora mancata nomina a Ministro della giustizia, di Nicola Gratteri.
Storie di ordinarie nomine mancate, dall’esito sempre uguale. Osserviamo attoniti implodere la Democrazia, oppressa da muri di gomma e vicende non ben definite, incapace di progredire in modo retto e giusto verso il sommo bene-responsabili-uomini ad essa preposti, ormai non idonei a dirigere la cosa pubblica.
Molti gli interrogativi, implicitamente emersi, ai quali forse nemmeno i tempi della giustizia italiana saranno sufficienti per poter dirimere questo nodo gordiano.
La nostra riflessione esula dagli eventuali approfondimenti istituzionali o giudiziari, ma pone enorme attenzione ad un modus operandi forse non illecito, eppure eticamente non più concepibile in un paese civile.
Ultima constatazione, in realtà la meritocrazia è un concetto per indicare non un sistema di valorizzazione degli individui, basato esclusivamente sul merito, bensì un concetto per riferirsi ad una forma di governo di estrema disuguaglianza economica e sociale.
Non ci rimane che sperare e invitare chi ci amministra ad essere invulnerabile ai condizionamenti e risoluti nelle decisioni come Meleagro, ad avere un ethos democratico ed una prospettivaassiologica di riferimento, fondata esclusivamente sulla verità, discernendo ciò che semplifica e ciò che complica, ciò che chiarisce e ciò che annebbia, ciò che è bene e ciò che è male.
Confermando fin troppo l’idea del sociologo britannico Michael Young, autore del libro L’avvento della meritocrazia (1958), «Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l’uguaglianza ma per l’ineguaglianza delle loro doti».
Caterina Capponi, docente