La presidente del Consiglio cerca di allontanare l’ipotesi di una crisi affermando che «non siamo più nel 2011» quando Berlusconi cadde. Ma anche in quel caso il nuovo esecutivo fu sostenuto da una maggioranza parlamentare. La Costituzione non si può ingannare
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di Ugo Adamo*
Ultima di una serie di esternazioni rivolte in modo più o meno velato ai poteri ‘forti’ è quella con la quale la Presidente del Consiglio dei ministri ha sostenuto che «soliti noti vorrebbero un governo tecnico» che sostituisca quello «finalmente eletto dagli italiani», ma «non siamo più nel 2011» (quando il Governo Berlusconi IV "fu costretto" alle dimissioni dalla forza oscura dei mercati sic!).
A leggere le dichiarazioni della quarta carica dello Stato (Giorgia Meloni), verrebbe da dire che reiterare un’affermazione falsa non la rende sol per questo vera.
Lo spread sale, i migranti (disperati, affamati, impauriti) continuano a cercare vita al di là del Mediterraneo, i Paesi sovranisti bloccano lo sviluppo di una "visione" europea condivisa. Con questo scenario, cosa di meglio che il richiamo al complottismo? Un vero e proprio evergreen; con il che lo sconcerto dei mercati e la flessione nei sondaggi non derivano - secondo questa narrazione - dalla lettura della Nadef, dalla scelta di controllare il fenomeno migratorio con la demagogia o dalla scelta di alleati in ambito europeo poco attenti alle problematiche dello Stato italiano, dalla sconfessione di tutte le promesse fatte quando si era all’opposizione e quindi in campagna elettorale, dal ritorno sguaiato di invettive verso una magistratura (che, lo ricordiamo, è un potere dello Stato) che si accusa di essere politicizzata, e le cui pronunce sono viste come decisioni politiche, appunto, tese a sconfessare le scelte del Governo.
Ma qui si prende la parola per sgomberare il campo dagli equivoci che puntualmente vengono presentati, ormai da troppo tempo, alla comunità dei cittadini e che le recenti dichiarazioni meloniane riportano alla ribalta; queste ultime vanno evidentemente prese sul serio considerato chi le ha espresse, anche se parrebbe che chi le ha pronunciate continui a non avere ancora chiaro cosa è e come funzioni una forma di governo parlamentare.
In Italia le aggettivazioni riferibili a un Governo sono tante, forse quanti i governi che negli anni si sono succeduti, con un ritmo che non ha pari in nessun’altro Paese democratico (di legislatura, istituzionale, di scopo, di transizione, ponte, balneare, del Presidente, ...). Ciò è sicuramente segno di vivacità democratica, di dibattito, di espressione di minoranze, ma anche di eccessiva instabilità politica, di crisi pilotate, di continui colpi di mano; si pensi solo che dal 1948 mai nessun Governo è durato quanto una Legislatura, per un periodo cioè di 5 anni. La media (impietosa) è di poco più di un anno e mezzo per i 64 Governi che si sono susseguiti nei 74 anni (nelle XVIII Legislature) della nostra breve vita costituzionale. Il Governo di cui Presidente del Consiglio è Giorgia Meloni è (solo) il primo della XIX Legislatura, e ha da poco "festeggiato" il primo anno.
Dinanzi ai dati appena ricordati non si può non riconoscere agli attori politico-istituzionali (i gruppi parlamentari all’interno delle Camere, i partiti politici al di fuori) una certa capacità nel rompere gli accordi ma allo stesso tempo nel crearne subito di nuovi, condizionati e determinati dalla presenza di elevate tensioni (sociali, economiche, finanziare, internazionali, sanitarie,...) che si alimentano in un dato momento nel sistema ordinamentale più generale.
Molte volte, quindi, il Governo non regge la crisi ma ciò comporta non tanto lo scioglimento del Parlamento, quanto piuttosto la ricerca di un nuovo Governo che riceva la fiducia del Parlamento e quindi della maggioranza dei parlamentari eletti.
Ciò che caratterizza tutti gli Esecutivi - e li rende tutti e sempre "politici" - è che il Governo (il Presidente del consiglio e i ministri) una volta nominato deve, entro dieci giorni, ricevere la fiducia sia dalla Camera dei deputati che dal Senato della Repubblica, previa "esposizione delle linee programmatiche del nuovo Governo" seguita dal dibattito parlamentare e dalla replica del Presidente del Consiglio dei ministri. Se la ‘mozione di fiducia’ non sarà approvata, invece, il Governo sarà obbligato alle dimissioni proprio perché non riuscirà ad attrarre (al minino) la maggioranza semplice dei componenti e non potrà definirsi come Governo "politico".
L’espressione "Governo tecnico" è, dunque, non solo errata, ma altamente insidiosa, e ciò per una pluralità di argomentazioni. Proviamo a riassumerle per sommi capi. In primo luogo, è come se si escludesse la possibilità che dalle consultazioni del Presidente della Repubblica sia indicato un tecnico che non sia direttamente collegato a una chiara forza politica e che, più in generale, la Politica possa essere anche tecnica (cioè portatrice di competenze specialistiche); in secondo luogo è come se l’‘appoggio’ del Presidente della Repubblica potesse esserci solo in alcuni casi (Governi Ciampi - con la presenza di diversi politici, del resto –, Dini, Monti, Draghi) e non già in tutti quelli che egli nomina; in terzo luogo (e questa a me pare l’insidia maggiore) il rinvio a un Governo tecnico tende a deresponsabilizzare la classe politico-istituzionale (tutti continuano a stigmatizzare Monti e Fornero, quelli del 2011), mentre la validità dei provvedimenti deliberati non può che essere assicurata dal voto conforme delle forze politiche di maggioranza.
Ogni Governo, dicevamo, abbisogna di una fiducia parlamentare, di un voto che palesi senza dubbio alcuno una chiara ‘maggioranza politica’ che non è meramente aritmetica ma che rappresenta stabilità attorno a un determinato indirizzo politico. La fiducia è un "impegno", un voto "qualificato"; è previsto, infatti, che la votazione avvenga per appello nominale, così che la maggioranza che sosterrà il Governo assuma la responsabilità politica dinanzi agli elettori, agli occhi dei quali netta è la differenza tra la minoranza (le minoranze) e la maggioranza politica, l’unica, quest’ultima, a cui è imputabile la relazione fiduciaria.
Quindi, ogni Governo è politico, e lo è per definizione, abbisognando l’organo esecutivo della fiducia del Parlamento in una forma di governo parlamentare. Nel tempo, la maggioranza politica, prima, e gli elettori, poi, giudicheranno su quale ‘politica’ il Governo ha basato la sua concreta relazione, e se la politica è riuscita a produrre convivenza ovvero si è ridotta a competizione tra le parti per l’assunzione e la gestione del potere. Il cittadino elettore giudicherà, ma solo quando sarà il suo tempo. Il tempo lo decide la Costituzione e il Presidente della Repubblica. Con la specifica che segue.
Il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere se non come ultima ratio, in caso contrario sarebbe attentato alla Costituzione. E allora, per esempio, il Presidente Mattarella non poteva sciogliere le Camere solo perché lo chiedeva da una spiaggia affollata Matteo Salvini, e infatti è stato nominato Mario Draghi che ha ricevuto (unitamente ai suoi Ministri) la fiducia del Parlamento, assumendo piena agibilità politica e non solo tecnica.
«Con noi mai un Governo tecnico» (Meloni cit.) è quindi una dichiarazione di intenti, ma non una regola costituzionale. Abbiamo bisogno di politica, perché i problemi posti cercano risposte e non costruzione di nemici a mo’ di figuranti, perché la tecnica non è la panacea di tutti i mali, perché non bilancia, non media, non è mite; la tecnica in sé non tende a uno scopo, non promuove un senso: la tecnica semplicemente funziona, quindi non può governare.
Allora sarà politica quella scelta che sarà sempre e comunque ‘appoggiata’ dalla maggioranza parlamentare. Se ci sarà maggioranza parlamentare lo deciderà lo stesso Parlamento, perché così vuole (e per fortuna) la forma di governo parlamentare. Quindi, dire «dopo di me c’è solo il voto» ricorda tanto il Salvini che in tenuta marinara "voleva" lo scioglimento delle Camere, e che solo in un secondo momento si sarà reso conto che la forma di governo parlamentare è contrassegnata non solo da liturgie ma anche di regole giuridiche, il cui rispetto è demandato (ancora una volta) al Presidente Mattarella.
Chi ha responsabilità istituzionali, allora, non impieghi la retorica del complottismo; già ci sono i no-vax, i terrapiattisti e... Tanti sono i problemi di questo Paese e di questa Europa, compresa - per dirla con Fabrizio De André - la «scimmia del Quarto Reich [che balla] la polka sopra il muro».
*costituzionalista, DESF-UniCal