Servirono 5 anni e la scarcerazione di 1.027 palestinesi per ottenere nel 2011 la liberazione di un solo soldato israeliano, Gilad Shalit. Ecco perché lo scenario di oggi è spaventoso e la cattura di prigionieri potrebbe essere stato il principale obiettivo dell’attacco palestinese
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Gli israeliani sono abituati alla guerra e questo è già il quarto conflitto con Hamas negli ultimi 15 anni, ma stavolta è un incubo vero quello che si sta materializzando nell’enorme numero di ostaggi ora in mano ai miliziani palestinesi. Un centinaio ufficialmente, ma i dispersi, dopo il clamoroso attacco di ieri partito dalla Striscia di Gaza, sono oltre 700, dunque il conto è destinato purtroppo a salire.
Il bottino di guerra più prezioso: gli ostaggi
Un bottino enorme, che potrebbe essere stato il vero obiettivo, al di là delle considerazioni geopolitiche, come impedire l’avvicinamento tra Israele e l’Arabia Saudita che era già in vista e che ora potrebbe essere sfumato per sempre. È forse proprio questo vantaggio tattico immediato, cioè riempire i tunnel segreti di ambitissimi ostaggi, la motivazione principale di Hamas.
Decine di donne, giovani, anziani, bambini e militari sono ora nelle mani dei rivoltosi e sono più preziosi di tonnellate d’oro, perché rappresentano merce di scambio per la liberazione dei palestinesi reclusi nelle carceri israeliane. «Non chiamateli ostaggi, sono prigionieri di guerra», precisano con sdegno, cercando di accreditare il racconto di un attacco legittimo contro l’oppressore.
L'orrore scorre sui social
Ma le scene che si sono viste nelle strade di Gaza, con le prede israeliane insanguinate, legate e terrorizzate, esibite come trofei sui pick-up dopo le incursioni oltre i confini della Striscia, rimandano alle pagine più buie del terrorismo di matrice islamista. I social, a cominciare dai canali Telegram, stanno rilanciando a profusione le immagini dell’abisso umano, con civili di ogni età braccati casa per casa, catturati o uccisi sul posto come agnelli sacrificali, sgozzati e vilipesi. L’orrore a portata di ogni cellullare. Un’azione di propaganda per reclutare forze nuove e terrorizzare il nemico dicendogli esplicitamente che non può più sentirsi al sicuro neppure dietro muri e check-point.
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I vivi fanno più paura dei morti
Ma paradossalmente, per quanto possa sembrare inconcepibile, non sono i morti a spaventare di più Israele, ma chi ora è in vita e nelle mani dei terroristi. Non è un caso che la controffensiva ordinata dal governo Netanyahu sia stata cauta e mirata, senza il solito bombardamento a tappeto della Striscia di Gaza.
Gli ostaggi stanno già svolgendo il ruolo di scudi umani, impedendo ai piloti con la Stella di Davide sulla carlinga di sganciare le bombe perché c’è il rischio di uccidere anche i propri concittadini catturati. Ma è nel medio e lungo periodo che il loro valore di scambio salirà alle stelle.
Mille palestinesi per un soldato israeliano
Israele ripiomba così nell’infermo di un’angoscia senza fine che ha già vissuto e che ha lacerato nel profondo il Paese. Era il 2006 quando un giovane carrista, Gilad Shalit, venne catturato. Per la sua liberazione venne chiesta la scarcerazione di 1.000 palestinesi. Per cinque anni si sono tentati blitz per liberarlo e per cinque anni l’opinione pubblica è stata lacerata dal dibattito estremamente divisivo che vedeva su fronti opposti chi non ammetteva alcuna concessione e chi, invece, riteneva prioritario salvare la vita del giovane soldato anche a costo di cedere alle richieste palestinesi.
Bomba innescata nel cuore della nazione israeliana
Alla fine, il 18 ottobre 2011, Shalit fu liberato in cambio della scarcerazione di 1.027 detenuti palestinesi. Un rapporto di mille a uno. Una proporzione che rende la misura di quanto sia grave il colpo subito oggi da Israele, che deve fare i conti con centinaia di propri concittadini ora nelle mani di Hamas. Non c’è arma più potente, non ci sono razzi più insidiosi di quanto possa essere questa bomba innescata nel cuore stesso della nazione israeliana e capace di esplodere innumerevoli volte nei mesi e negli anni a venire.