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Sempre secondo i dati Istat, dal 2010 al 2014, le lavoratrici sono passate da 202 a circa 192 mila, ossia sono calate del 5% perdendo per strada circa 10 mila posti di lavoro. Una regione al palo, quindi, sul versante occupazionale considerando che, in una dimensione comparativa, una occupata su due in meno nel mezzogiorno si è verificata in Calabria.
Un andamento che si consolida anche osservando il tasso di occupazione che si è ridotto, nel quinquennio considerato, dell’1,2% passando dal 31,5% del 2010 al 28,9% del 2014.
Nel 2010, l’esercito delle “senza lavoro” era di circa 32 mila unità a fronte di ben 69 mila nel 2014. L’analisi del trend negativo fa toccare alla Calabria un tasso di disoccupazione al picco massimo nel 2014 raggiungendo quota 26,5% in crescita di quasi 13 punti percentuali rispetto all’anno 2010(13,8%).
L’orientamento dell’universo femminile calabrese rilevato da Demoskopika non lascia dubbia, è auspicabile anzi necessaria una significativa presenza femminile nelle posizioni di vertice, nei sistemi politici e di rappresentanza ai vari livelli.
La stragrande maggioranze delle calabresi ha dichiarato interesse alla partecipazione politica, ha indicato le amministrazioni locali, regione e Comune in testa.
Elaborando i dati, in Calabria, un imprenditore su quattro è donna, ben (26,1%): 24.563 in provincia di Cosenza, 19.487 a Reggio Calabria. A seguire la provincia di Catanzaro con 12.175 imprenditrici, Crotone e Vibo con 5.942 e 4.446.
Situazione drammatica anche in termini di divorzi e separazioni, in Calabria ce ne sono stati 2.746.
Nel commentare tali dati drammatici e preoccupanti l’economista Raffaele Rio si è espresso dichiarando che: “Il costo della recessione sociale si misura anche nella dinamica del mercato del lavoro. La perdita di 20mila posti di lavoro tra le donne calabresi pesa come un macigno sulle famiglie calabresi: è come se improvvisamente chiudesse l’intero gruppo Fininvest o, in un colpo solo, restassero a casa tutti i dipendenti del Gruppo Unipol, Edison ed Erg messi insieme. Il paragone rende bene l’idea della drammaticità della situazione.