Dopo fiumi di parole e promesse in campagna elettorale, ora il dramma dei precari calabresi si sta consumando nel silenzio di chi per anni ha dato per certe le stabilizzazioni. Invece il 31 dicembre scadono i contratti a termine e al momento non c’è neppure la possibilità di rinnovarli. In bilico il reddito di 4.500 famiglie che sentono franare la terra sotto i piedi
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Niente, nemmeno lo straccio di una rassicurazione. Neppure il sussurro di un “vedremo”. Nulla di nulla. Manca ormai un mese esatto all’abisso della disoccupazione per circa 4.500 lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità, ma dalla politica regionale e nazionale non arriva nemmeno un fiato.
Un problema che viene da lontano
Mancano i soldi e mancano le deroghe normative che potrebbero consentire la proroga dei contratti in scadenza il 31 dicembre. Un problema enorme che non sembra togliere il sonno a nessuno, tranne che a quelle migliaia di famiglie che si ritroveranno senza un reddito. E sia chiaro, non stiamo parlando di assistenzialismo, ma di lavoratori precari che operano negli enti locali calabresi da decenni.
Fino a 4 anni fa si trattava di lavoro nero di Stato: senza contributi, senza assicurazioni, senza indennità di alcun tipo e con uno sussidio che era circa la metà dello stipendio medio di un impiegato. Un sistema che sin dall’inizio degli anni ’90, quando fu introdotto, andava bene a tutti. Ai politici, che potevano coltivare il proprio orticello elettorale da innaffiare copiosamente quando serviva; ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, che potevano far quadrare i conti con forza lavoro a bassissimo costo e che oggi si ritrovano con piante organiche dopate che crollerebbero se venissero meno gli Lsu e gli Lpu; agli stessi lavoratori, che hanno assecondato queste dinamiche di potere e si sono accontentati di trascorrere la propria vita occupazionale in un limbo che non conduceva mai al paradiso del posto fisso. Un eden che adesso, fine 2018, ora appare ancora lontanissimo.
Un fiume di promesse non mantenute
Eppure ne sono state dette di parole, ne sono state fatte di promesse. Al silenzio tombale che ora pesa come una cappa di cemento sulle speranze dei lavoratori, fa da contraltare un fiume di dichiarazioni che negli ultimi 4 anni ha ingrossato senza sosta le aspettative di quanti ci hanno creduto davvero, fino ad esondare come limo fertile di voti in prossimità delle scadenze elettorali.
È stato così quando Mario Olivero si è insediato alla guida della Regione Calabria, ponendo la stabilizzazione dei precari storici come la priorità delle priorità. Lo ha ribadito con forza e in tutte le occasioni possibili anche nei sei mesi che hanno preceduto le elezioni politiche del 2018. Un fa, sotto Natale, ha rimarcato il concetto quando i lavoratori sono giunti a tre anni consecutivi di contratti a termine (prima, è bene ricordarlo, fruivano solo di un sussidio senza bisogno di firmare alcunché) maturando così i presupposti di legge per la stabilizzazione, cioè della trasformazione del rapporto di lavoro precario in uno a tempo indeterminato.
“Rinnovate i contratti”, era la parola d’ordine imposta ai Comuni, alcuni dei quali, però, si sono messi di traverso chiedendo garanzie mai arrivate sulle risorse future e sulle conseguenze legali delle assunzioni. Perché è vero che dopo tre anni di precariato puoi essere assunto a tempo indeterminato, ma è anche vero che se gli Enti non lo fanno (perché non possono) e continuano con i contratti a termine, rischiano di essere chiamati in giudizio dagli stessi lavoratori non stabilizzati per rifondere i danni. È quello che sta succedendo, ad esempio, in Sicilia.
Si fa presto a dire "stabilizzate!"
Dunque, si fa presto a dire “stabilizzate”. Ci sono norme che impongono il turnover con chi va in pensione, altre che esigono il rispetto dei piani triennali di fabbisogno del personale, e la stragrande maggioranza dei Comuni ha nei suoi uffici e sulle sue strade molti più precari di quanti ne possa assumere a norma di legge.
Un groviglio che appare inestricabile senza deroghe precise che consentano di aggirare gli obblighi. E poi c’è il capitolo soldi. Anche se arrivassero le scappatoie normative, ci vogliono comunque circa 90 milioni di euro l’anno per rinnovare di 365 giorni i contratti in scadenza. Dal fondo sociale per l’occupazione in Calabria ne sono arrivati 21, altri 38 promette di metterli la Regione, ne mancano all’appello ancora una trentina e il governo da questo orecchio sembra non sentirci. Una parte dei fondi, dunque, sulla carta dovrebbe essere disponibile, ma senza deroghe legislative questa volta i Comuni calabresi, anche quelli che in passato si sono fidati di Oliverio, sembrano intenzionati a non rischiare più per non finire nella situazione di molti enti siciliani, già chiamati a rispondere in tribunale delle mancate stabilizzazioni.
Cavallo di battaglia elettorale
Eppure c’è stato chi non ammetteva scuse, come l’onorevole Enza Bruno Bossio, che ha fatto della stabilizzazione degli Lsu e Lpu (anzi, ex Lsu ed ex Lpu, come ci teneva a sottolineare per esaltare la fine del precariato) il suo cavallo di battaglia. Recentemente, la parlamentare democrat - che ha sempre stigmatizzato con sdegno ogni critica al suo racconto - ha ammesso per la prima volta, proprio dalle nostre colonne, che del rinnovo dei contratti non c’è certezza, figurarsi della stipula a tempo indeterminato. Ora anche Bruno Bossio tace, come Oliverio, che se fosse in cerca di un nuovo motivo per incatenarsi davvero dinnanzi a Palazzo Chigi, come promise ma non fece per il commissariamento della Sanità, ne avrebbe almeno 4.500, tanti quanto sono i lavoratori in bilico.
Proteste e appelli che nessuno sente
Alcune centinaia di questi sono scesi anche oggi in strada, nel Cosentino, bloccando la 106 nei pressi di Amendolara. Il 16 novembre scorso, a Catanzaro, erano in mille a gridare “vergogna” all’indirizzo di una politica che si è rintanata nel Palazzo lasciandoli in mezzo al guado. Intanto i sindacati - che hanno la loro parte di colpa nell’equivoco delle stabilizzazioni considerate come cosa fatta, visto che hanno avallato a lungo l’approccio spregiudicato della Regione e del Pd - scrivono lettere ai parlamentari e lanciano appello che restano puntualmente inascoltati.
In questo clima di attesa scandita inesorabilmente dal calendario che si prepara a far volare via gli ultimi 31 fogli di dicembre, gli unici che sembrano davvero prossimi ad uscire dal tunnel del precariato sono i 104 lavoratori di Reggio, per i quali - assicura il Comune - si arriverà all’assunzione definitiva entro i prossimi giorni. Un barlume di luce che rende ancora più netto e opprimente il buio nel quale è immerso il futuro di tutti gli altri Lsu e Lpu calabresi.
Enrico De Girolamo
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