Un miliardo, 416 milioni, 22 mila euro. E’ questo il valore dei beni sequestrati alla ‘ndrangheta dal 1992 al 2015. Una cifra imponente, da fare mozzare il fiato ma che mal si lega con la possibilità concreta di trasformare quanto sottratto alla criminalità organizzata in occasioni di riscatto e rinascita.

 

Procedure farraginose, complesse ed articolate fanno, infatti, attrito e rendono così complicata in Italia la riassegnazione dei beni confiscati alla mafia che sono così poco meno delle metà del totale di quelli sottratti. In Calabria sono in tutto 3073 i beni a cui sono stati messi i sigilli. Per lo più si tratta di terreni (519), a seguire aziende (335), poi magazzini e locali di deposito (88), infine negozi e botteghe (60).

 

Nella sede dell’Agenzia per la gestione dei beni confiscati di Reggio Calabria si lavora alacremente. Bisogna amministrare e destinare i beni sequestrati e confiscati dopo il provvedimento definitivo, ma anche aiutare gli amministratori giudiziari e poi monitorare l’effettivo uso sociale del bene destinato e, in caso di cattiva gestione, revocarne l’assegnazione.

 

Ma non solo. Bisogna anche operare in modo tale da preservare posti di lavoro, quelli dei lavoratori che non devono e non possono diventare vittima dello Stato loro malgrado. E poi, ancora, immobili che, se non curati, rischiano di cadere a pezzi togliendo beneficio alla confisca.

 

Pochi ma importanti i casi positivi. Come accaduto a Polistena, dove è sorta la cooperativa Valle del Marro nei terreni dei clan Piromalli, Molè e Pesce. Braccianti africani strappati al caporalato lavoranola terra, mentre un immobile è stato trasformato in un ambulatorio di Emergency.

 

A Lamezia Terme uno stabile confiscato alle cosche in uno dei quartiere a più alta densità criminale della città è stato assegnato alla cooperativa Progetto Sud ed è diventato, tra l’altro, un luogo di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e persone con disabilità. Tiziana Bagnato