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Il 2014 sarà ricordato come una delle stagioni più complicate e difficili per il mondo produttivo calabrese. Imprenditori sul lastrico costretti prima a rincorrere forme di ammortizzatori sociali e poi a licenziare i dipendenti, dismettere beni e patrimoni.
Il territorio che soffre di più, è la provincia di Cosenza(4.763), seguita a ruota da Catanzaro con 2.660 aziende chiuse.
La terza nella triste classifica sulla mortalità delle imprese è Reggio Calabria(1.751), poi ci sono Crotone(1.294) e Vibo Valentia(1.210).
I settori più esposti alla crisi sono l’edilizia, mediamente l’incidenza della crisi è di circa il 60%: vale a dire su 10 imprese che chiudono, almeno 6 provengono dal mondo della calce e dei mattoni. Ma anche il mondo dei trasporti e della sanità e delle telecomunicazioni. Turismo e agroalimentare, potrebbero rappresentare la nuova frontiera degli investimenti in Calabria.
Paolo Abramo, imprenditore che da 15 anni è alla guida di Unioncamere, spiega la ragione principale della breve sopravvivenza di un’impresa, affermando che il primo dato, è la fragilità. Spesso chi inizia non ha la capacità finanziaria autonoma e sufficiente a consolidare e far crescere la propria iniziativa imprenditoriale. Per cui il risultato è che pur davanti a ottime iniziative, poi non si ha la forza di reggere la sfida del mercato. Insomma, è come se un soldato affrontasse una guerra nucleare con un coltellino. C’è da dire che accanto ad un’impresa che muore, ce né un’altra che nasce: allo stato in tutta la regione ce ne sono circa 30,31 mila.