Lo scrittore e intellettuale calabrese dopo il "Viaggio in Israele" per seguire il processo Eichmann, metteva nero su bianco riflessioni ancora oggi di sorprendente attualità
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«Essendo stati una volta in Israele, non abbiamo dubbi, se mai in un giorno di pace potessimo ritornare in quel paese, che sarebbero proprio i suoi uomini a dirci ancora parole umane. Ci pare di sentirli dire, con la consueta finezza: "Tutto è stato sistemato, nel migliore dei modi. Benissimo. Ma cosa sarà di noi e dei Palestinesi?"».
E se dunque quanto accade in Medio Oriente fosse una responsabilità internazionale e non di uno o di un altro popolo, ognuno con la propria storia e i propri diritti? Una domanda ispirata da quella con cui lo scrittore di Bovalino, nel reggino, Mario La Cava, di cui il prossimo 16 novembre ricorreranno i 35 anni dalla scomparsa avvenuta nel 1988, chiudeva un suo scritto nel 1973. Una domanda ancora senza risposta, in questo drammatico e devastante frangente di guerra. Da quasi un mese imperversa in Medio Oriente un violento conflitto che continua a mietere vittime innocenti, tra le quali anche bambini. A distanza di un decennio dal suo "Viaggio in Israele" per seguire il processo Eichmann, gerarca delle SS e tra i maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei, egli metteva nero su bianco riflessioni ancora oggi di sorprendente attualità. Segno del suo acume intellettuale ma anche della generale e colpevole incapacità di intervenire nella trama di una convivenza irrisolta, che come tale già si svelava mezzo secolo fa. Considerazioni racchiuse in uno scritto rimasto inedito e che il figlio dello scrittore, Rocco La Cava, ha portato alla luce un decennio fa.
In Israele, dunque, Mario La Cava, giornalista inviato per il Corriere Meridionale di Matera, probabilmente tra le testate più piccole accreditate a seguire il grande evento di portata storica, non seguì e non raccontò solo il processo Eichmann, iniziato a Gerusalemme nell'aprile del 1961 (quindici anni dopo il processo di Norimberga). Egli visitò la terra di Israele sicché il suo diario narra della situazione di popoli e del loro destino dentro la Grande Storia, confermando la capacità di guardare al mondo nel suo complesso, scandagliando i fatti e le loro molteplici sfumature. Le considerazioni che continuarono a decantare in lui anche dopo la pubblicazione di Viaggio In Israele (1967), ci restituiscono oggi uno spaccato su cui riflettere come se a parlare fosse un intellettuale contemporaneo.
«Non badano alle vite che sacrificano»
«La realtà di oggi nelle cose del mondo - scriveva Mario La Cava nel 1973 - mi pare che sia quella antica. Niente è mutato, se non nell'apparenza. I potenti giocano con le armi sulla pelle degli altri, come prima, per affermare il loro prestigio, salvo a far finta di mettersi d'accordo, per evitare il peggio, una volta che fossero stanchi dello spettacolo, come allo stadio, in attesa, s'intende, di ricominciare da capo.
Siamo atrocemente sconvolti dalla perversità di coloro che hanno in mano i destini del mondo. Quello che dicono, e più quello che fanno, è terribile. Hanno i loro piani da far valere e non badano alle vite umane che sacrificano. Il polverone della loro propaganda è micidiale. Raggiungono la mente umana e la distruggono. Scatenati gli istinti, la guerra è di casa. Non per questo è impossibile per l'uomo ragionevole vedere chiaro in quello che accade». Non era impossibile ma, alla luce di quanto sta avvenendo oggi, appare evidente che non sia stato fatto quanto profeticamente asserito dallo scrittore di Bovalino. La Cava si interrogava, poi, su cosa avrebbe continuato a scrivere se in Israele fosse tornato.
«Tuttavia anche del capitolo mancante in un libro si può scrivere la prefazione se si sa quello che si sarebbe detto: ed io che cosa avrei ricercato in un secondo viaggio se non le persone che avevo conosciuto e apprezzato? Oppure il loro ricordo nel paese dove le avevo incontrate una volta? E che cosa avrei difeso, se non il loro amore per la giustizia?». Una riflessione che parte da quanto già fermato in mente e su carta anni prima.
Gli arabi viventi in Israele e i palestinesi esuli nei vari paesi arabi
«Parlai degli arabi viventi in Israele con umana comprensione. Ammirai la fierezza degli uomini, la dolcezza delle donne. Dove sono le figlie di Diba, che avrebbero preferito vivere in Italia lasciare il paese che abitavano, e del quale non erano, evidentemente contente? Sogni di ragazze, parole dette forse per cortesia verso le straniero.
Ma dei palestinesi esuli nei vari paesi arabi parlai poco. Non avvertii bene il loro dramma, del quale il mondo soltanto oggi forse ha preso coscienza, per l'ardimento delle loro imprese disperate. So bene che sono spesso delittuose, ma so pure che non si può pretendere giustizia da chi ha assunto su di sé la parte della vittima destinata al sacrificio.
I Palestinesi, a conclusione di tante lotte, sono diventati uguali agli israeliani nel rispetto che si deve verso le loro esigenze di vita; e io sono sicuro che i miei amici di Israele, se potessero essere interrogati, non lo negherebbero. I Palestinesi sono quelli che non hanno potuto vivere coi loro “fratelli” arabi, che li hanno lasciati sotto le tende, dopo la guerra del '48. Il sentimento della patria perduta nacque e si sviluppò negli anni dell'abbandono e della fame. È questa una realtà irreversibile». Lo sguardo si addentra nella storia degli arabi che vivono in Israele e in quella degli esuli palestinesi. Lo sguardo di La Cava, al pari, penetra anche la storia degli israeliani.
Gli Israeliani e gli Ebrei dispersi nel mondo
«Gli Israeliani sono coloro che, in quanto ebrei dispersi nel mondo, non hanno potuto vivere coi “fratelli” cristiani. L'antica patria si tinse per essi, nella sciagura, dei colori del sogno. La riconquistarono per necessità, col sacrificio del lavoro e con le arti dell'ingegno, diventando guerrieri nelle prove supreme.
Parlando d'Israele, non si può dimenticare quello che è stato il suo passato più tragico. Non lo si può trascurare, se si vogliono comprendere oggi le sue aspirazioni, i suoi timori, le sue pretese. Anzi mi pare che chi lo ritenga scontato nel giudizio che si voglia dare di quel popolo, sotto sotto riveli la stessa infamia dei suoi persecutori. Tenerlo presente può servire a tante cose: ad evitare, per esempio, di restare vittima di clamori propagandistici dei potenti, ripetendo come scolaretti le loro argomentazioni». Ciò è quanto scriveva lucidamente Mario La Cava esattamente cinquanta anni fa. In quella terra, oggi ancora una volta insanguinata, pulsa la storia che ci riguarda tutti e non solo perché ogni ingiustizia dovrebbe essere questione collettiva.
Il cuore straziato della Storia
Lì si incrociano i destini di un'umanità alla quale la storia di un'altra guerra e di un orrore senza fine ha forse troppo frettolosamente creduto di aver dato delle risposte, senza poi curarsi di altri interrogativi che ne sarebbero nati. Interrogativi, ancora oggi senza risposta, laceranti al punto da alimentare fondamentalismi e da scatenare un'altra guerra che non è ancora finita, Un'altra guerra la cui portata distruttiva oggi non è assolutamente da circoscrivere e sottovalutare.
La Calabria vivida e ruvida di Mario La Cava
L'acume e la capacità di osservazione di Mario La Cava sono maturati nella sua Calabria, nella provincia reggina, un intero mondo in miniatura.
Osservava e scrutava l’animo umano e i luoghi di una Calabria vivida ma anche ruvida. Faceva parlare il Sud martoriato e straordinario attraverso i suoi contadini, i suoi emigranti, gli ultimi. A quella terra lontana dai centri che contavano e che necessitava di un riscatto dalla durezza e dalla crudezza della vita, con tutto sè stesso, ha sperato di aver dato una voce.
La sua attenzione agli ultimi ha nutrito di sensibilità il suo sguardo che, con lui, ha viaggiato, spaziando e posandosi altrove su altri popoli, su altre persone. Tra il primo e l'ultimo romanzo dello scrittore calabrese, rispettivamente Il matrimonio di Caterina (scritto nel 1932 ma pubblicato solo nel 1977) e Una stagione a Siena (1988), tante le opere. I Caratteri, i Fatti di Casignana del 1922, Vita di Stefano, Colloqui di Antonuzza, Viaggio in Israele e tanti altri, tra romanzi, saggi e opere teatrali di Mario La Cava, fino alle pubblicazioni postume. Tra queste, l’epistolario con Leonardo Sciascia Lettere dal centro del mondo 1951-1988, nel 2012, e I miei maffiosi nel 2019.