VIDEO | Durante una manifestazione dell'Istituto comprensivo di Sant’Eufemia, raccolte le testimonianze dei familiari dei deportati nei lager tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943
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Furono 810 mila i militari italiani catturati dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 ed internati nei lager perché considerati disertori o franchi tiratori. Gli Imi (Internati militari italiani) rappresentano un altro capitolo buio della storia che si accompagna a quella della deportazione ebraica.
La giornata della Memoria a Lamezia
A Lamezia Terme l’Istituto Comprensivo di Sant’Eufemia, guidato da Fiorella Careri, ha scelto di ricordarli, di raccontare la loro storia e di farlo anche attraverso le testimonianze di alcuni dei loro figli, che da quei padri attinsero il racconto di prima mano di un’esperienza di sofferenza e perdita di umanità.
Il tutto all’interno della manifestazione “Crescere nel valore formativo della Memoria -Storie di Internati del nostro territorio” che ha coinvolto le classi quinte A-B e C della Scuola Primaria.
Dopo l’armistizio l’esercito italiano si dissolse e in nome del Patto d’Acciao per Hitler i militari italiani diventarono franchi tiratori e disertori. Vennero considerati come prigionieri di guerra fino al 20 settembre 1943, fino a che il Führer negò loro questo inquadramento per poterli "schiavizzare" senza controlli.
Gli internati militari
Classificarli come "internati militari" (Imi), implicava infatti l’assenza per loro di qualunque tipo di tutela nella Convezione di Ginevra sui Prigionieri del 1929.
Privi di tutele internazionali, condannati ai lavori forzati, patirono la fame, il freddo, le malattie. Per loro si profilano anni di angherie, punizioni, fucilazioni, le impiccagioni. Pronti a sfidare la morte anche solo per un misero pomodoro.
Come ha racconto Vincenzo Graziano, il cui padre venne portato in più campi di concentramento e per raccogliere, appunto, un pomodoro allungò il braccio oltre quella che era considerata la linea invalicabile e venne sparato, riuscendo per fortuna a non venire colpito.
Le testimonianze
Le sofferenze li incattivirono e divorarono qualunque spirito di gruppo. Tra di loro anche il padre della scienziata Amalia Bruni che proprio di questo svuotamento del senso di solidarietà parlò alla figlia portando poi nella sua esperienza di educatore prima e di dirigente scolastico la priorità del gruppo.
«Doveva andare avanti la squadra, anche gli ultimi, un messaggio forte» ha raccontato.
E c’è chi invece visse con terrore anche la liberazione quando la fine della prigionia scatenò gli istinti vendicativi dei superstiti sugli ufficiali tedeschi, ma qualcuno come il padre di Enza Sirianni non volle aggiungere orrore a orrore e non partecipò alle violenze di gruppo pur ricordandole con sofferenza: «Fu una scena terribile mi raccontò mio padre, quell’ufficiale venne linciato, ma lui nonostante fosse stato uno dei suoi aguzzini non ce la fece».
Testimonianze forti ed importanti per rinsaldare la memoria che si sono legate alla alla ricerca storico-documentale condotta da alunni e insegnanti sul valore simbolico e sulla funzione commemorativa delle Pietre d’inciampo; una ricerca che si è concentrata sul territorio lametino con lo scopo di conoscere e capire il coinvolgimento dei suoi abitanti in un processo storico che ha segnato in modo drammatico la storia europea del Novecento e che ha lasciato i suoi segni dolorosi anche su di esso.