Il prossimo 29 febbraio 2024, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione emetteranno un giudizio storico sull’utilizzazione dei telefonini criptati - le cosiddette utenze SkyEcc - presenti ormai in tutti i procedimenti penali che riguardano il narcotraffico. Le inchieste delle procure distrettuali ormai vengono condotte, per questa fattispecie di reato, con la stessa metodologia: da Milano a Palermo. Le indagini infatti interessano tutte le mafie italiane ed estere: Camorra, Cosa Nostra e (soprattutto) ‘Ndrangheta.

Nel corso degli anni sono stati più volte evidenziati i rapporti delle cosche con “broker” presenti in Sud America o in altri Stati dell’Europa. Si parla di Albania, Grecia, Germania, Spagna e Olanda. I collegamenti, secondo gli investigatori, sono ben definiti: i cellulari “citofono” sono lo strumento di comunicazione più affidabile secondo le organizzazioni criminali. Ma non è proprio così. Le Direzioni distrettuali antimafia italiane, non ultime quelle di Milano, Reggio Calabria e Catanzaro, hanno fatto emergere come sia stato difficile ma non impossibile “bucare” quei telefoni “criptati”. Sul punto, però, gli avvocati hanno sollevato più questioni che, fino all’altro giorno, si erano scontrate con l’orientamento giurisprudenziale della Cassazione, che in una sentenza aveva scritto: «I messaggi di posta elettronica memorizzati nelle cartelle dell’account o nel computer del mittente ovvero del destinatario, costituiscono meri documenti informatici intesi in senso “statico“, dunque acquisibili ai sensi dell’art. 234 del codice di procedura penale, dovendo escludere che si possa parlare di documentazione relativa a “flussi informatici”». Questo evidentemente non è bastato a “giustificare” l’utilizzazione in termini sostanziali dello strumento d’indagine.

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I dubbi di legittimità sono iniziati ad emergere con la sentenza emessa in favore dell’indagato Bruno Iaria, indagato dalla Dda di Milano e arrestato dal competente gip distrettuale lombardo. Misura cautelare della custodia in carcere poi confermata dal Riesame e messa in discussione in seguito dalla Cassazione.

Bruno Iaria è accusato di aver fatto parte di un'associazione per delinquere, che sarebbe stata diretta da Bartolo Bruzzaniti, dedita al traffico illecito di cocaina importata dall'estero, nonché per avere concorso nell'acquisto di ingenti quantitativi di cocaina, destinata in parte ad essere trasportata in Calabria.

Secondo il Riesame di Milano i gravi indizi di colpevolezza a carico di Bruno Iaria sono desumibili dagli esiti delle indagini che, avviate in Italia con l'esecuzione di intercettazioni di comunicazioni telefoniche e ambientali, e di contestuali servizi di osservazione, erano proseguite con l'acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria francese delle comunicazioni che gli indagati si erano scambiate su una "chat" operante sulla piattaforma di messaggistica criptata "SkyEcc". Tale materiale conoscitivo, acquisito dal pubblico ministero italiano mediante l'emissione di ordini europei di indagine (0EI) - essenziale per delineare il ruolo e le attività svolte dall'odierno ricorrente - doveva considerarsi utilizzabile a norma dell'art. 234-bis cod. proc. pen., in quanto riguardante il contenuto di comunicazioni non in corso ma effettuate in precedenza, memorizzate come messaggi in parte già "in chiaro" e in parte cifrati in un server di "SkyEcc" sito in Francia, ma rese poi intellegibili (e così utilizzate come contenuto di meri documenti informatici) dopo aver acquisito le "chiavi di cifratura" ovvero gli algoritmi che ne aveva permesso la decifrazione.

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Uno dei punti maggiormente contestati dai giudici di legittimità è quello secondo cui non è chiaro «se l'autorità giudiziaria francese avesse avviato autonomamente, sulla base di preesistenti notitiae criminis, le indagini nel proprio Paese oppure se le investigazioni fossero state attivate (anche) sulla base delle sollecitazioni istruttorie che avevano sostanziato l'emissione di ordini europei di indagine da parte del pubblico ministero italiano. Né risulta chiarito se, rispetto al momento dell'emissione e della trasmissione di tali ordini, le indagini compiute dall'autorità giudiziaria francese fossero state tutte definitivamente concluse, oppure se - come sembrerebbe da alcuni sintetici cenni contenuti nel provvedimento impugnato - fossero proseguite anche sulla base delle richieste formulate dall'autorità giudiziaria italiana».

«Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, la messaggistica su "chat" di gruppo su sistema "SkyEcc", acquisita mediante ordine europeo di indagine da autorità giudiziaria straniera che ne ha eseguito la decriptazione, costituisce dato informativo documentale conservato all'estero, utilizzabile ai sensi dell'art. 234- bis cod. proc. pen., e non flusso comunicativo, non trovando applicazione la disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 e 266-bis cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, Papalia, cit., secondo cui non rileva se i messaggi siano stati acquisiti dall'autorità giudiziaria straniera "ex post" o in tempo reale, poiché al momento della richiesta i flussi di comunicazione non erano in atto)» aveva evidenziato la sesta sezione penale della Cassazione.

Cosa potranno determinare le Sezioni Unite della Cassazione? Far saltare “il banco” o blindare con motivazione approfondita la questione sull’utilizzazione dei dati emersi dai telefoni criptati su server esteri, salvando tutte le inchieste. Alla sentenza sono interessate sia la Dda di Reggio Calabria che quella di Catanzaro, nonché gli imputati accusati di narcotraffico, che sono stati intercettati in quel modo, e i rispettivi difensori di fiducia. A rischio dunque gli esiti investigativi di “Crypto”, “Eureka” e “Gentlemen 2”, tanto per citarne alcuni.