Almeno in primo grado, il Tribunale amministrativo della Calabria pone fine alla querelle divampata esattamente un anno fa a seguito dell'adozione da parte dell'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro di una delibera che sanciva la riduzione del numero delle postazioni di continuità assistenziale sul territorio: da 60 a 25. 

La polemica

Un provvedimento che provocò una levata di scudi non solo da parte delle amministrazioni locali che si erano viste soppresse le postazioni territoriali ma anche da parte della politica. La querelle è poi finita nelle aule dei tribunali su impulso dei Comuni di Cardinale, di Cicala, di Gizzeria, di Jacurso, di Miglierina e di Serrastretta (difesi dall'avvocato Crescenzio Santuori) che hanno impugnato la delibera del 12 febbraio 2020 dinnanzi al Tar.

Vizio di competenza

La seconda sezione oggi ha annullato quel provvedimento condannando anche l'Asp (difesa dagli avvocati Maria Lorusso e Anna Muraca) al pagamento delle spese di giudizio per vizio di incompetenza. I giudici amministrativi hanno, infatti, ritenuto fondata la censura mossa dalle sei amministrazioni comunali secondo cui «l’azienda sanitaria non potrebbe modificare il numero delle postazioni di continuità assistenziale, poiché così facendo rimodulerebbe il rapporto ottimale medici e abitanti, che deve essere invece fissato a livello regionale».

Rapporto medici - abitanti

Il rapporto ottimale tra medici e abitanti era stato fissato, con una delibera di giunta regionale risalente al 2006, in un medico ogni 3.500 abitanti. Successivamente, con delibera del presidente della giunta regionale del 2012, il numero di postazioni dell’Asp di Catanzaro era stato fissato in 50, così rimodulando il fabbisogno e portandolo al rapporto di un medico ogni 1.750 abitanti. Secondo i sei comuni: «La scelta dell’Asp di Catanzaro di ridurre le postazioni a 25 implicherebbe perciò una rideterminazione del fabbisogno di continuità assistenziale, rideterminazione che, però, spetta solamente alla Regione».

La competenza è regionale

E la seconda sezione del Tar richiamando l'articolo 64 dell'accordo collettivo nazionale conferma che «la competenza a determinare il
fabbisogno dei medici di continuità assistenziale di ciascuna singola azienda sanitaria è della Regione - e quindi, stante il commissariamento della sanità calabrese, del commissario ad acta per il piano di rientro - e non dell’Asp».

Ridotte oltre la soglia

I giudici amministrativi rilevano, infine, che «così operando l’Asp di Catanzaro ha disapplicato la delibera del presidente della giunta regionale del 2012, individuando un diverso e minore fabbisogno rispetto a quello indicato a livello regionale e assumendo una decisione estranea alla propria competenza. La rimodulazione delle postazioni avrebbe potuto essere effettuata nel rispetto del
fabbisogno stilato dalla Regione; quindi, a fronte di 50 postazioni previste e 60 postazioni effettivamente attive, sarebbe stato possibile sopprimerne 10, ma non anche abbassare le postazioni al di sotto del numero programmato dalla Regione».