Il fascicolo sulla scomparsa di Francesco Vangeli adesso è sulla scrivania del procuratore Nicola Gratteri, perché sullo sfondo di un caso di lupara bianca, il cui movente non sarebbe prettamente mafioso, si appalesa comunque la ‘ndrangheta con tutta la sua crudeltà. È probabile, d’altronde, che lo stesso fascicolo - dopo alcuni approfondimenti di competenza della Procura antimafia - possa presto rientrare alla Procura di Vibo Valentia, in particolare al pm Ciro Luca Lotoro  (foto sotto), che con il supporto operativo dei carabinieri del colonnello Gianfilippo Magro ha avviato le indagini per chiarire i contorni della scomparsa del ventiseienne di Scaliti di Filandari, uscito di casa alle 22 del 9 ottobre scorso e mai più rientrato.


La trappola e un “ex” pericoloso

Il timore è che Francesco, quella sera, sia stato attirato in una trappola, ucciso e fatto sparire. Successivamente la sua macchina incendiata nei pressi di una pinetina nel territorio di Dinami. Il movente? Riduttivo definirlo passionale. Francesco era fidanzato e la sua relazione sarebbe giunta, nelle ultime settimane, ad una svolta. La storia d’amore tra i due giovani faceva però i conti con il ritorno di un “ex” dal passato della ragazza. Un giovane pluripregiudicato, con stretti legami parentali nel mondo del crimine organizzato. Un giovane che peraltro avrebbe trascorso gli ultimi mesi della sua vita agli arresti domiciliari, lo stesso che – come rivelano alcuni messaggi nella memoria di un vecchio smartphone consegnato agli inquirenti – in passato avrebbe anche minacciato pesantemente Francesco.
La vittima era un ragazzo incensurato. Era da poco rientrata dalla Toscana assieme al padre ed aveva avviato una piccola attività imprenditoriale. La sua è una famiglia a modo, conosciuta e ben voluta: persone riservate e prive di legami con ambienti malsani. Francesco era un ragazzo che lavorava, a volte esuberante, ma capace di restare pulito malgrado il condizionamento malavitoso di certe aree del profondo Sud.


Le indagini a San Giovanni

Le indagini si concentrano su San Giovanni di Mileto, perché è qui che quella sera Francesco si sarebbe diretto ed è qui che l’avrebbe atteso il giovane pregiudicato, incapace di accettare la nuova vita che desiderava la sua ex. Forse tra i due doveva esserci un incontro chiarificatore. Il ragazzo di Scaliti, però, non è mai rientrato a casa.
Mileto e la frazione San Giovanni sono realtà che la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro conosce benissimo. Mileto è il feudo dei Pititto-Prostamo-Iannello; San Giovanni, in particolare, è il feudo dei Prostamo, il clan degli storici boss Nazzareno, ergastolano, e Giuseppe, assassinato il 4 giugno 2011 a San Costantino Calabro.
I carabinieri, da queste parti, hanno incassato successi investigativi di enorme portata. Con l’operazione “Miletos” hanno fatto piena luce sulla faida tra i gruppi Mesiano e Corigliano, che aveva riportato l’antica capitale normanna al clima che si respirava nella guerra di mafia degli anni ’80 e ’90. Sono state, però, soprattutto le indagini antidroga “Stammer” e“Stammer 2” a delineare gli scenari mafiosi locali come ingranaggi fondamentali di un sistema internazionale di narcotraffico.


Ragazzi divenuti fantasmi

Lo sforzo investigativo si concentra quindi sulla perfetta definizione dello scenario e del movente, ma non trascura la ricerca del corpo di Francesco, in un territorio nel quale - nell’ultimo mezzo secolo – sono stati circa cinquanta i casi di lupara bianca. Poche, pochissime, le vittime che hanno avuto una lapide sulla quale posare un fiore. Considerando solo gli ultimi anni, non è stato mai trovato il corpo di Cristian Galati, né quelli di Michele Penna, di Salvatore Foti o di Massimo Lampasi. Non è mai stata trovata neppure Maria Chindamo, perché qui la violenza non ha mai conosciuto onore e non ha mai risparmiato neppure le donne.


Francesco Vangeli come Pino Russo?

Tra i pochi che oggi possono ricevere un fiore dai propri cari c’è Pino Russo, il giovane scomparso da Acquaro il 15 gennaio 1994. Anche nel suo caso fu una storia d’amore a costargli la vita. Uno dei capibastone di Gerocarne, Antonio Gallace, non accettava il legame tra la sua giovane cognata e quel ragazzo perbene. Si affidò ad un malacarne di Laureana di Borrello, Gaetano Albanese ed ai suoi picciotti affinché lo facessero sparire: lo attirarono in una trappola, lo assassinarono in maniera brutale e poi lo seppellirono. I resti di Pino Russo furono ritrovati sol perché uno dei basisti, col tempo, non resse al senso di colpa per l’orrore compiuto e, soprattutto, perché Gaetano Albanese, da lì a breve arrestato per una serie di gravissimi reati, decise di saltare il fosso e collaborare con la giustizia.
Era un’altra epoca, ma Pino Russo ebbe giustizia ed una degna sepoltura. E giustizia ed una degna sepoltura dovrà avere anche Francesco Vangeli.

 

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