Il collaboratore in aula: «Ho consegnato soldi anche a qualche avvocato e sono riuscito in pratica ad impadronirmi della clinica Villa verde di Donnici, facendo costosi regali»
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Affiliazioni e battesimi di ‘ndrangheta anche in clinica. Riti arcaici che prevedevano in alcuni casi anche bere il sangue di colui che si faceva garante della “promozione” mafiosa. Nella sua lunga e prima deposizione nel maxiprocesso Rinascita Scott, Andrea Mantella si è soffermato anche su tali aspetti, ripercorrendo la sua carriera criminale su domande del pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci. Lucido e preciso, il collaboratore di giustizia ha spiegato a grandi linee le “manovre” utilizzate per lasciare il carcere. E’ il marzo del 2008 quando Andrea Mantella, arrestato nel 2007 per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione antimafia “Nuova Alba” contro il clan Lo Bianco, ottiene gli arresti domiciliari nella clinica psichiatrica cosentina “Villa Verde” di Donnici. “Ho simulato una depressione in carcere – ha dichiarato – su suggerimento di alcuni avvocati e poi ho anche corrotto qualche perito medico sborsando sino a 70mila euro. Ho consegnato soldi anche a qualche avvocato e sono riuscito in pratica ad impadronirmi della clinica, facendo costosi regali ai medici”.
Rolex, auto di grossa cilindrata, generi alimentari, gioielli e persino prosciutti costati un altro processo nei confronti di medici ed avvocati in altro procedimento penale. “Nella clinica – ha ricordato Andrea Mantella – ho trovato Bevilacqua, capo del clan degli zingari di Cassano, e Samuele Lovato del clan Forastefano di Cassano. Siccome in clinica comandavo io e facevo quello che volevo, li ho fatti scendere di piano e li ho collocati in stanze con televisore e più comfort. Successivamente in clinica arrivò anche il mio braccio-destro, Francesco Scrugli. Il direttore sanitario di Villa Verde era Arturo Ambrosio al quale regalammo un’Audi A4 da 60mila euro ed ho fatto anche licenziare personale medico a me sgradito”. Ad andare a trovare Mantella in clinica mentre si trovava agli arresti domiciliari, anche qualche imprenditore che gli consegnò del denaro a titolo estorsivo e personaggi come Salvatore Morelli di Vibo Valentia, attualmente latitante per Rinascita Scott e definito dal collaboratore come il suo “erede naturale”, i suoi cugini Salvatore e Vincenzo Mantella, il costruttore Francesco Patania, alias “Cicciobello” (imputato in Rinascita Scott), “Salvatore Bonavota e Carlo Pezzo di Sant’Onofrio, Mommo Macrì, Marco Startari, Carmelo Chiarella e Domenico Tomaino, tutti di Vibo Valentia”.
Le affiliazioni nella clinica di Donnici
In assenza di ogni tipo di controllo, Andrea Mantella e Francesco Scrugli avrebbero comunicato con l’esterno anche attraverso l’uso di telefonini. Ma non si sarebbero fermati qui. Nelle stanze delle clinica sarebbero stati messi in piedi veri e propri rituali di affiliazione alla ‘ndrangheta o passaggi di grado mafioso. “Insieme a Salvatore Morelli e Samuele Lovato sono stati fatti passare al grado di camorrista Domenico Macrì e Francesco Antonio Pardea. Io – ha ricordato Mantella – dissi a Pardea e Macrì che nella copiata mafiosa dovevano inserire il mio nominativo, quello di Salvatore Morelli e quello di Carmelo Lo Bianco Piccinni. Nell’occasione venne affiliato anche Domenico Tomaino”.
Il “battesimo” nella ‘ndrangheta di Andrea Mantella
Il collaboratore ha spiegato di essere stato ritualmente affiliato alla ‘ndrangheta nel corso di una riunione in contrada Silica di Vibo Valentia. Ancora minorenne, ad Andrea Mantella nel corso di una “cerimonia” alla presenza degli allora vertici del clan Lo Bianco-Barba, gli sarebbe stato conferito il grado di picciotto e poi quello di camorrista, in quanto Andrea Mantella aveva ucciso Michele Neri, Rosario Tavella e Francesco Callipo. “Ricordo che in copiata portavo i nomi di Carmelo Lo Bianco Piccinni, il mio capo, Enzo Barba, Francesco Patania detto Cicciobello, Antonio Mancuso, Raffaele Franzè detto Lo Svizzero. All’atto dell’affiliazione – ha spiegato Mantella – ricordo che erano presenti i fratelli Pino e Carmelo D’Andrea. La casa e il terreno in contrada Silica erano di Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro, che l’aveva sottratta a Filippo Piccione, poi ucciso dai Lo Bianco nel 1993 a due passi da piazza Municipio”.
Sangue e 'ndrangheta
Dopo l’omicidio di Ferdinando Manco nel 1992, il clan Lo Bianco decise di concedere ad Andrea Mantella il grado mafioso dello sgarro. “Eravamo in tale occasione sempre in contrada Silica, un luogo in cui una volta si era rifugiato da latitante anche Leoluca Lo Bianco, detto U Rozzu, che aveva commesso un omicidio a Paravati. Quando invece sono stato fatto camorrista, la fuoriuscita di sangue per il rituale l’ha fatta Enzo Barba ed io ho bevuto – ha svelato Mantella – il sangue di Enzo Barba. Il grado ‘ndranghetistico del quartino, invece, mi è stato conferito da Filippo Catania nella sua abitazione. Anche lui, unitamente ai due cugini Carmelo Lo Bianco, Piccinni e Sicarro, ad Enzo Barba ed a Raffaele Franzè, Lo Svizzero, era inserito fra i vertici del clan. Nella ‘ndrangheta sono stato battezzato sino al grado di Trequartino, mentre una dote di ‘ndrangheta alta aveva preso Francesco Scrugli e gli era stata conferita in carcere dagli Zagari di Taurianova. A Vibo c’era un locale di ‘ndrangheta attivo ed aperto e come tale riconosciuto dal Tribunale d’omertà della ‘ndrangheta rappresentato all’epoca da Domenico Alvaro di Sinopoli, Sebastiano Romeo detto U Staccu e Antonio Pelle, detto Gambazza, di San Luca. Ricordo che Carmelo Lo Bianco, Piccinni, quando c’era la festa della Madonna di Polsi, o andava lui personalmente o inviava qualche personaggio di spessore del clan. Ho creduto alla ‘ndrangheta – ha concluso Mantella – e mi sono rovinato la vita”.