* di Costantino Mustari

 

“Ciao Nino, come stai?”

Era questo il saluto con il quale si annunciava Francesco Samengo, presidente nazionale dell’Unicef. E lo faceva di primo mattino, sempre prima delle otto. E lo faceva non solo con me, con il quale c’era una confidenza da conterranei, ma con tutti gli oltre centoventi tra presidenti provinciali e regionali Unicef, che conosceva tutti di nome e ai quali si rivolgeva con tono sempre affabile, amichevole il nostro presidente, venuto a mancare per Covid l’altro ieri.

Lo conobbi nell’ambito del volontariato Unicef, al quale avevo aderito da tempo, allorché lo ospitai per un grosso convegno, organizzato da lui nella qualità di neo presidente del Comitato regionale, che si svolse nella scuola di Catanzaro che allora dirigevo.

Poi la frequentazione è diventata più ravvicinata, fino a diventare intensa negli ultimi due anni, da quando era divenuto Presidente nazionale della Organizzazione dell’Onu che si occupa dell’infanzia nel nostro paese Fu nell’occasione della votazione per il rinnovo degli organi nazionali, alla quale partecipai, che lo conobbi meglio, avendolo avuto vicino per alcuni giorni. Mi sorprese la capacità di relazioni che aveva con tutti: a tutti si rivolgeva con pacatezza, con il sorriso, con la pacca sulle spalle o col tono fermo, che non erano di circostanza in quanto candidato, ma che appartenevano al suo carattere, e da cui scaturiva il suo carisma.

Fu il più votato e poi il neo Direttivo nazionale lo elesse Presidente. Mi sorpresero, in quei giorni, la sua vitalità e la sua instancabilità: in piedi fino a notte fonda, in piedi già di primo mattino. Ed era già un ottantenne! Ricordo che l’ultima sera eravamo rimasti a chiacchierare, nel dopo cena, un gruppi di amici, fino a oltre mezzanotte. Il mattino successivo, durante la colazione, venni a sapere che era partito, alle cinque, con la sua macchina, alla volta di Cassano, il suo paese dal quale fisicamente si era allontanato da diversi anni, per andare a vivere a Roma, ma dove era rimasto con la mente e con il cuore e che con orgoglio richiamava spesso, a sottolineare la sua calabresità.

Aveva dormito non più di quattro ore e quella instancabilità ha mantenuto fino all’ultimo, fino allo scorso 24 ottobre. La mattina era il primo ad arrivare negli uffici dell’Unicef, in via Palestro, senza però fare mai pesare questa sua presenza come se stesse lì per controllare. E vi rimaneva fino a tardi. Il direttore generale e i funzionari dell’Unicef dicevano che mai nessuno dei precedenti presidenti era stato così presente e così coinvolto nella guida dell’Organizzazione come lo era lui. E questo Francesco faceva non soltanto perché era questa la sua indole, che aveva avuto modo di esplicare nei numerosi incarichi da manager pubblico che aveva ricoperto, ma per l’amore profondo, viscerale, che lo accompagnava nei confronti dei bambini, per i quali spendeva ogni energia, sia per incrementare la advocacy dell’Organizzazione che, soprattutto, per promuovere, a favore dell’Unicef, le donazioni da utilizzare per i bambini del mondo, e tra questi quelli italiani, molta parte dei quali viventi al di sotto della soglia di povertà.

La nuova povertà dei bambini italiani era diventata per lui, nei due anni, un chiodo fisso, un problema da risolvere. E in questi due anni ha stabilito una infinità di contatti, che ha tradotto in convenzioni con istituzioni con enti pubblici, con privati, con il mondo dell’imprenditoria e col mondo produttivo. Il suo fervore, sorprendente per un ultraottantenne, lo portava a percorrere il territorio italiano in lungo e in largo: lo sapevi oggi a Brindisi per trovarlo domani a Trento e il giorno dopo a Lucca. Si era inventato e li faceva, gli incontri con i comitati regionalii e provinciali direttamente nelle loro sedi: da noi lo abbiamo avuto a San Lucido, il 5 aprile dell’anno scorso. Ora lo aspettavamo a Catanzaro, a presiedere una riunione del nostro Comitato. Durante il confinamento forzato ha partecipato personalmente alla distribuzione dei materiali di aiuto che sono arrivati in Italia.

Il rapporto personale e franco che aveva con tutti lo ha portato ad essere lui stesso a informarci, con una nota del 26 ottobre, di un caso presunto di positivo al Covid nella 3 sede Unicef e che per “maggiore precauzione, personalmente ho scelto di ricoverarmi e seguire le prescrizioni sanitarie sotto stretto monitoraggio clinico…sono sicuro che ne usciremo con lo spirito e la determinazione di sempre. Un caro saluto Francesco”. E con un whatsapp personale del 27 ottobre mi comunicava “…sono ricoverato, febbricitante, da sabato allo Spallanzani per accertamenti e per tampone molecolare. Vado meglio. Speriamo bene. Un abbraccio e a presto” Più nulla, con i miei messaggi che gli inviavo e che arrivavano su un telefonino spento, fino alla notizia finale. Non c’è stato più l’abbraccio, nessun “presto” è arrivato. Se ne è andato, per sempre, con il rimpianto di chi lo conosceva. Sono stati centinaia gli organi di stampa e i siti online che ne hanno comunicato il decesso, con note di lode per quello che ha fatto e di rimpianto per la Persona che non c’è più. E tanto rimpianto lascia in chi ha sperato in questo calabrese perché migliorassero le condizioni dei minori in Italia e nel mondo. Scrivo queste righe, nelle quali molto altro avrei potuto dire, proprio mentre a Roma, nella chiesa di San Francesco a Ripa, nel quartiere dove abitava, lo si saluta, per l’ultima volta, nel suo viaggio di ricongiungimento a Dio.

Ciao Grande Presidente, ciao Francesco


*Presidente provinciale Unicef di Catanzaro