Annullate con rinvio le condanne a Pantaleone Mancuso e Giovanna Del Vecchio. L’inchiesta si è occupata del tentativo di far desistere il collaboratore – parte civile contro i familiari – a passare dalla parte della giustizia
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Verdetto della Cassazione nel processo a carico degli imputati a giudizio nell’ambito di un’operazione della Dda di Catanzaro che mira a far luce sulle pressioni rivolte dai familiari ad Emanuele Mancuso per farlo recedere dalla collaborazione con la giustizia. L’inchiesta si occupava pure della latitanza di Giuseppe Mancuso, fratello di Emanuele e figlio del boss Pantaleone Mancuso. La Cassazione ha accolto il ricorso della Procura generale di Catanzaro per quanto riguarda la sola aggravante delle finalità mafiose in relazione ai reati di detenzione illegale di armi e ricettazione contestati a Giuseppe Mancuso, di 38 anni, di Nicotera (che in appello era stato condannato a 4 anni e un mese con la caduta delle aggravanti). Per lui sarà quindi necessario un nuovo processo di secondo grado per la determinazione delle sole aggravanti.
Accolto, invece, il ricorso dei difensori ed annullate con rinvio (quindi anche per loro sarà necessario un nuovo processo d’appello) le condanne ad un anno e 4 mesi a testa per Pantaleone Mancuso, di 63 anni, detto “l’Ingegnere”, e per Giovanna Del Vecchio, di 56 anni, di Nicotera (padre e madre di Emanuele Mancuso). Confermate, infine, le assoluzioni per Rosaria Del Vecchio, di 58 anni, di Nicotera e Desiree Mancuso, di 32 anni, di Nicotera (rispettivamente zia e sorella di Emanuele Mancuso).
Il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso figurava quale parte civile (assistito dall’avvocato Antonia Nicolini) contro i suoi stessi familiari (padre, madre e sorella). Giuseppe Mancuso dovrà quindi risarcire il danno provocato al fratello Emanuele, costituito parte civile, atteso che per lui l’annullamento con rinvio riguarda il solo riconoscimento delle aggravanti mafiose nei reati di detenzione illegale di armi e ricettazione in relazione ad una pistola con matricola abrasa ed una carabina con relative munizioni rinvenute a Zaccanopoli il 27 novembre 2019. Evasione dagli arresti domiciliari era l’ulteriore contestazione mossa a Giuseppe Mancuso, anche questa aggravata dalle modalità e dalle finalità mafiose, che in questo caso diventa definitiva. Mediante violenza psichica e paventando la possibilità di non poter vedere la figlia minore, nonché mediante offerte di denaro o altre utilità, i familiari avrebbero costretto Emanuele Mancuso a interrompere la collaborazione con la giustizia avviata il 18 giugno 2018 e ad uscire dal programma di protezione il 20 maggio 2019, non presentandosi all’interrogatorio fissato per il 21 maggio 2019. Giovanna Del Vecchio, avendo appreso dal figlio Giuseppe dell’intenzione di Emanuele di collaborare con la giustizia, avrebbe poi avvertito il marito Pantaleone Mancuso il quale si era reso irreperibile (venendo catturato con documenti falsi solo il 13 marzo 2019).
I difensori
Giuseppe Mancuso era difeso dall’avvocato Francesco Capria; Rosaria Del Vecchio dall’avvocato Francesco Capria; Giovanna Del Vecchio dagli avvocati Francesco Capria e Giosuè Naso; Pantaleone Mancuso dagli avvocati Francesco Capria e Mario Santambrogio; Desiree Mancuso era assistita dall’avvocato Francesco Capria.