È quanto emerge dalle dichiarazioni dei compagni che quella tragica sera si trovavano insieme al giovane ucciso. Il 43enne, unico indagato per l'omicidio, avrebbe rifiutato di prestare soccorso al giovane allontanandosi poi a bordo della sua Fiat Panda
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Prima avrebbe cercato di nascondere il fucile usato per sparare contro i tre migranti, poi Antonio Pontoriero, al momento unico indagato per l’omicidio Soumaila Sacko sarebbe tornato sul luogo del delitto. È quanto emerge dalle dichiarazioni dei compagni del 30enne freddato a San Calogero, che quella tragica sera si trovavano insieme a lui all’ex fornace in località “La tranquilla” per prelevare delle lamiere che sarebbero servite per costruire baracche alla tendopoli di San Ferdinando dove vivevano.
Uno dei compagni dopo la sparatoria si sarebbe recato in un vicino casolare per chiedere aiuto per Sacko che giaceva a terra agonizzante dopo essere stato colpito alla testa da un colpo esploso e proprio qui avrebbe riconosciuto l’uomo che poco prima aveva visto sparare da un’altura che sovrasta la fabbrica. Il giovane ha raccontato di aver notato l’uomo che pensava si fosse allontanato con la Fiat Panda che invece era ancora nello stesso luogo dove si trovava prima. È qui che si accorge di un particolare che risulterà fondamentale per le indagini: indossava gli stessi indumenti di colui che poco prima aveva sparato. Da a qui – si evince dalle dichiarazioni del giovane fornite nei momenti successivi al dramma - la convinzione che fosse stato proprio lui ad esplodere i colpi d'arma da fuoco.
Il compagno di Sacko per timore che quell’uomo potesse ancora una volta sparare chiedeva il permesso di avvicinarsi all’amico per soccorrerlo ma Pontoriero avrebbe risposto che lui non avrebbe fatto niente e rifiutò anche di prestare il suo aiuto per portare con l’auto Soumaila in ospedale. Dopo di che salì sulla sua auto e si allontanò dal luogo.
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