Una figura centrale per la cosca Alvaro di Sinopoli quella presumibilmente ricoperta dal sindaco di Delianuova, Francesco Rossi arrestato stamani dai Carabinieri, insieme ad altre 17 persone nell’operazione “ Iris”, con l’accusa di associazione mafiosa. Era l’uomo su cui- stando alle carte dell’inchiesta- la ‘ndrina poteva contare all’interno dell’amministrazione comunale sin da quando era vicesindaco per poi essere eletto primo cittadino e consigliere della città metropolitana.  «È uno scenario sconvolgente- afferma in conferenza stampa il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri- dove il sindaco è totalmente asservito al volere dei clan e dagli affiliati stessi gli è riconosciuto un ruolo all’interno della consorteria».  A Rossi quindi viene contestato la partecipazione alla cosca di Sinopoli e non un ruolo di concorrente esterno. Una presunta intraneità contestata grazie alle numerose intercettazioni captate all’interno della “casetta” ossia il casolare in contrada Scifà, il luogo nevralgico per gli Alvaro, dove in processione sfilavano mafiosi e referenti. Le cimici dell’Arma infatti hanno documentato continue riunioni, mascherate da “mangiate”, e un “andirivieni” costante di esponenti di tutti i mandamenti di ‘ndrangheta reggina. Al casolare è stata registrata la presenza delle ‘ndrine “Pelle-Gambazza” di San Luca, dei Mollica di Africo, dei  Rugolino di Catona, quartiere alla periferia Nord di Reggio, e poi degli Ietto di Natile di Careri, fino ai Condello di Varapodio, i De Stefano, cosca egemone del reggino, e ovviamente dei clan più influenti della Piana come i  Guadagnigno e i “Papalia”  di Delianuova,  i Mazzagatti di Oppido Mamertina e La Rosa di Giffone. Un vero e proprio “quartier generale”  dove venivano condivise le strategie criminali, venivano distribuiti appalti e lavori da accaparrare con estorsioni e infiltrazioni nei cantieri.

La richiesta di aiuto

E anche il sindaco Rossi verrà “pizzicato” nel casolare di contrada Scifa. Nell’ottobre 2013, quando era “solo” vicesindaco” ed assessore ai lavori pubblici, i Carabinieri lo vedranno sedersi al tavolo con presunti boss e gregari. «Si è rivolto alla cosca per chiedere aiuto- chiosa il procuratore- non alle Istituzioni ma, ai clan». Rossi infatti, è stato intercettato mentre chiedeva un “intervento” su alcuni soggetti che avrebbero ostacolato la sua attività politica. Ostacoli che potevano pregiudicare la sua carica in seno al comune. Ai vertici della ‘ndrina Rossi avrebbe riferito la violazione dei patti pre-elettorali di alcuni soggetti nella definizione del piano regolatore comunale e della lottizzazione della zona di “Carmelia”; un “intervento” che avrebbe dovuto portare alla caduta del Comune in modo da avere “campo libero” alla guida dell’amministrazioni. Qui gli Alvaro gli mostreranno sostegno e acconsentiranno a interrompere queste condotte ostruzionistiche dei suoi oppositori. Per la Dda dello Stretto non ci sono dubbi: «Rossi era stato collocato alla guida dell’ente dalla ‘ndrangheta per farne gli interessi».

L’inchiesta si allargherà

Più volte in conferenza stampa inquirenti e investigatori hanno fatto intendere che oltre ai 18 arrestati di oggi l’elenco degli indagati dell’inchiesta “Iris” contiene molti più soggetti di cui oggi si è data contezza. Il sindaco Rossi però,  non sarebbe l’unico politico che avrebbe tentato di avvicinarsi alla ‘ndrangheta. Nell’inchiesta spunta anche un candidato del centro destra al consiglio regionale nelle elezioni del 2014, già consigliere comunale di Reggio Calabria, poi però non eletto. Gli Alvaro poi, grazie al dipendente dell’ Inps Giuseppe La Capria avrebbero ottenuto- attraverso medici compiacenti -agevolazioni per pensioni ed invalidità civili. Procedure che spesso richiedono mesi e mesi di attesta e che però, per una persona “vicina” ai clan sarebbe stata ottenuta in meno di due mesi. Adesso gli inquirenti infatti, sono a lavoro per ricostruire la rete di professionisti e funzionari, anche della Regione, che avrebbe permesso alla cosca di ottenere benefit e agevolazioni. «Nessuna briciola è stata lasciata- ha sottolineato il colonnello Giuseppe Battaglia, comandante provinciale dei Carabinieri. Anche per un banale litigio di un giovane laureando con un docente dell'Università di Messina è stata investita la cosca e se ne è discusso in un summit mafioso». 

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