Il pm antimafia di Reggio Calabria, Adriana Sciglio, ha chiuso l'indagine condotta contro i clan Grasso e Cacciola di Rosarno. Tra gli indagati anche la criminologa Angela Tibullo accusata di essersi messa a disposizione delle 'ndrangheta attraverso consulenze false e atti corruttivi
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Chiusa l’inchiesta “Ares”, condotta contro le cosche Grasso e Cacciola di Rosarno. Il pm antimafia Adriana Sciglio ha infatti notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 77 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, narcotraffico internazionale di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, intestazione fittizia di beni, estorsione, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, danneggiamento, minaccia, impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita, violazione degli obblighi della sorveglianza speciale, reati tutti aggravati dall’aver agevolato la ‘ndrangheta.
L’indagine si è sviluppata in due diverse tranche e adesso la Procura, retta da Giovanni Bombardieri, tira le somme. Gli indagati avranno 20 giorni per chiedere di essere interrogati dal pm e presentare documenti in loro difesa. Successivamente l’accusa si rivolgerà al gip formulando la richiesta di rinvio a giudizio e il processo che ne scaturirà sarà uno dei più “grandi”, in termini di persone alla sbarra e capi di imputazioni contestate, condotti ultimamente contro le cosche rosarnesi.
L’inchiesta “Ares” ha monitorato le dinamiche criminali dei due gruppi, vicini alle ‘ndrine Pesce e Bellocco, egemoni a Rosarno ed in tutta la Piana. Il vuoto di potere, creatosi a causa dei numerosi arresti che hanno coinvolto le due ‘ndrine, ha generato i contrasti tra i Cacciola e i Grasso. Contrasti nati per la detenzione del potere mafioso e per la gestione dello spaccio e del traffico di droga. Il sedici settembre dello scorso anno poi, stando all’inchiesta dell’Antimafia, un “commando” capeggiato da Gregorio Cacciola, classe 1980, figlio di Domenico Cacciola (morto presumibilmente con il metodo della “lupara bianca”), avrebbe tentato di sequestrare, per uccidere, in pieno giorno ed in pieno centro a Rosarno, Salvatore Consiglio. Quest’ultimo, considerato dagli investigatori uno degli emergenti della ‘ndrina Grasso è riuscito a sfuggire all’agguato.
«Queste giovani leve - affermò in conferenza stampa il procuratore aggiunto Gaetano Paci - erano disposte anche a ricorrere alla violenza sanguinaria, agli omicidi, pur di conseguire una posizione egemonica. Il tentato omicidio di Salvatore Consiglio è un elemento - ha chiosato Paci - dimostrativo della volontà dei giovani Cacciola di voler assumere il vertice che loro volevano acquisire in tutte le attività proprie dell’organizzazione criminale e non solo all’interno dei Cacciola ma, in tutta la “società” di Rosarno».
Sangue e cocaina per stabilire il loro potere a Rosarno e dintorni. Tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini c’è anche la criminologa Angela Tibullo, attualmente agli arresti domiciliari. Per la Dda la donna si sarebbe prodigata per far scarcerare alcuni suoi assistiti o comunque per fargli un regime cautelare più favorevole. La Tibullo è accusata di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia. Dagli approfondimenti svolti dai Carabinieri del comando provinciale reggino e dai militari del Gruppo di Gioia Tauro è emerso che il suo ruolo, secondo l’accusa, in virtù della professione esercitata, è risultato determinante nelle dinamiche associative e nel perseguimento degli interessi illeciti delle cosche Crea di Rizziconi, Grasso e Pesce di Rosarno; la donna si sarebbe messa a disposizione dei propri assistiti detenuti per fargli ottenere dei benefici come il trasferimento da un carcere a un altro, ritenuto meno “afflittivo”, oppure attraverso consulenze, ritenute poi non veritiere, avrebbe fatto percepire alcuni vantaggi “penitenziari” come la sostituzione della misura cautelare dal carcere agli arresti domiciliari. Sarebbe persino arrivata a corrompere alcuni periti d’ufficio nominati dall’autorità giudiziaria per valutare lo stato di salute dei sui assistiti o i medici impiegati all’interno delle strutture penitenziarie. Inoltre, avrebbe anche veicolato all’esterno delle carceri i messaggi dei detenuti con lo scopo di agevolare le comunicazioni tra loro e il resto della consorteria mafiosa.