L’avvocato ed ex parlamentare vuole essere mandato subito a processo. A pesare sulla decisione le sue condizioni di salute. È accusato di concorso esterno in associazione mafiosa
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Chiede il giudizio immediato l’avvocato del Foro di Catanzaro ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito della maxi-operazione antimafia denominata “Rinascita-Scott”, condotta sul campo dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.
Un giudizio che prevede di saltare l’udienza preliminare andando subito a processo. L’istanza presentata dagli avvocati Salvatore Staiano e Guido Contestabile è al vaglio del gup del Tribunale di Catanzaro, Claudio Paris.
Qualora fosse accolta, il gup stralcerà la posizione di Pittelli mandandolo a processo dinanzi a Tribunale collegiale di Vibo Valentia quale unico imputato rispetto agli altri 455 di cui comunque bisognerà vedere quanti chiederanno invece il giudizio abbreviato.
Le condizioni di salute e le accuse
A pesare sulla decisione di invocare il giudizio immediato potrebbero esserci le condizioni di salute di Pittelli, attualmente rinchiuso nel carcere di Nuoro. Tre le istanze di scarcerazione sinora respinte.
Continua a pesare, dunque, la principale accusa mossa all’avvocato Giancarlo Pittelli, ovvero quella di concorso esterno in associazione mafiosa. Pittelli è in particolare accusato di aver messo a disposizione dei clan del Vibonese, come i Mancuso di Limbadi e Nicotera ed i Razionale-Fiarè-Gasparro di San Gregorio d’Ippona, i suoi “canali” ed i suoi “agganci” per rafforzare il loro potere mafioso. In particolare, l’avvocato Pittelli nella sua qualità «di avvocato e di massone – e, in quanto tale, di soggetto portatore di un rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale e del mondo imprenditoriale e delle professioni, caratterizzati da vincoli di fratellanza e reciproca riconoscenza – è indicato quale risolutore dei più svariati problemi dei clan «sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni o della pubblica amministrazione, in particolare delle forze dell’ordine, e, quindi, dalle illimitate possibilità di accesso a notizie riservate».
Si sarebbe creato, secondo l’accusa, una sorta di circolare rapporto “a tre” tra il politico/ professionista/faccendiere, l’operatore di impresa e la cosca mafiosa, in cui il primo ottiene e concede favori, in forza dei suoi legami con le istituzioni e la ndrangheta, fungendo da “cerniera” tra i due mondi, il secondo cresce o risolve problemi grazie all’influenza mafiosa ed alla politica collusa, e la terza rafforza il suo radicamento nel tessuto politico ed economico.