Due “colpi” in una notte. Due fatti estranei l’uno all’altro ma di pari importanza, due arresti messi a segno dai carabinieri di Vibo Valentia con il coordinamento della Procura antimafia di Catanzaro. Si parte con l’agguato di Piscopio avvenuto nella notte tra il 27 e il 28 settembre scorsi, costato la vita a Salvatore Battaglia, 21 anni, e nel quale rimase ferito alla gamba il 23enne Giovanni Zuliani. I militari dell’Arma chiudono il cerchio attorno ad Antonio Felice, 32enne di Piscopio, catturato a Seregno, in Lombardia, dove si era rifugiato in casa di amici.

Nel corso della conferenza stampa al comando di Vibo, cui ha partecipato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, il capitano della Compagnia Gianfranco Pino, che ha curato l’indagine con i suoi uomini, ha ripercorso i fatti di Piscopio spiegando la dinamica dell’agguato. Battaglia, Zuliani e Michele Ripepi avrebbero «schernito e percosso» Felice. In piazza. Davanti a tutti. Un affronto che la vittima dell’aggressione avrebbe deciso di risolvere col piombo diventando carnefice. A qualche ora di distanza, infatti, pistola in pugno, al transitare dell’auto guidata da Battaglia, Felice avrebbe iniziato a sparare uccidendo il conducente. Zuliani, nel tentativo di darsi alla fuga, è stato avvicinato e colpito al femore, mentre i colpi che hanno bucato il lunotto non hanno sfiorato Ripepi, che si trovava sui sedili posteriori ed è riuscito a proteggersi mettendo la testa giù. Il dato allarmante lo ha rivelato Gratteri, parlando delle «giovani leve della ‘ndrangheta di Piscopio», una ‘ndrangheta «chiusa, dura, per certi versi arcaica», che «dopo il nostro intervento», con gli arresti dell’operazione “Rimpiazzo”, era tornata «a compiere estorsioni sul territorio»: «I giovani volevano riconquistare la zona».

Arrestato Giuseppe Salvatore Mancuso

L’altro arresto, rivelato proprio nel corso della conferenza stampa, è quello di Giuseppe Salvatore Mancuso, 33 anni, figlio di Pantaleone “L’ingegnere”, irreperibile dal settembre 2018 molto probabilmente in seguito alla decisione del fratello Emanuele di passare tra le fila dei collaboratori. Su Mancuso, il capo della Dda ha spiegato: «Le armi trovate in suo possesso, all’interno dell’abitazione che i carabinieri sono stati bravi a scovare, ci inducono a pensare che potesse preparare qualche omicidio. In casa deteneva infatti armi di precisione micidiali, un fucile di precisione dotato di cannocchiale capace di colpire anche ad un chilometro di distanza». Come spiegato dal comandante del Nucleo investigativo Valerio Palmieri, su Mancuso pendeva una condanna definitiva comminata dal Tribunale di Milano a 5 anni e 2 mesi ed un’altra condanna, questa in primo grado, ad 11 anni di carcere, inflittagli dal Tribunale di Palmi. «Lo abbiamo trovato in casa di un insospettabile – ha aggiunto -, un ragazzo di 19 anni con una donna straniera. Oltre alle armi, abbiamo trovato anche un vasto munizionamento e un passamontagna». Da Gratteri, infine, l’accento sull’attenzione della Distrettuale per il territorio vibonese: «Qui ho dedicato tre bravissimi sostituti come De Bernardo, Frustaci e Mancuso, che lavorano molto bene e su cui trovano appoggio i carabinieri di Vibo, oggi guidato dal colonnello Capece che è un degno sostituto del colonnello Magro».

 

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