Dalle carte dell’inchiesta sulla cosca di Rho emergono episodi singolari che testimoniano anche la scarsa considerazione dei vecchi capi per una locale sui generis che ammetteva anche non calabresi
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Pistole ed estorsioni, cocaina e locali, affiliazioni e rispetto: c’è il canovaccio tipico delle storie di ‘ndrangheta attorno ai 49 arresti disposti dal Tribunale di Milano nei confronti di altrettanti presunti partecipi alla Locale di Rho. O almeno di quello che ne resta, dopo gli arresti e le condanne dell’indagine “infinito–crimine” che una decina di anni fa aveva scardinato buona parte degli interessi criminali di origine calabrese in Lombardia.
Le scarcerazioni a stretto giro del presunto boss Gaetano Bandiera (condannato in via definitiva a 13 anni e cinque mesi di reclusione e passato ai domiciliari per motivi di salute) e di suo figlio Cristian (che in galera ci era finito, condannato a dieci anni, per l’omicidio di un albanese in seguito ad una rissa), avevano riportato la cosca a rialzare la testa.
La Locale spuria
Quella di Rho, è una “colonia” piuttosto particolare nella galassia del crimine organizzato calabrese: tra le più antiche ad operare con continuità in Lombardia, non ha infatti nessun legame diretto con una locale nella “casa madre”. Nessun riferimento ad una famiglia specifica o ad un paese, grande o piccolo, a “casa”. «Ciò dipende – scrivono i giudici – dalle diversificate origini dei suoi affiliati». Per entrarci infatti, hanno scoperto gli investigatori, non era nemmeno necessario avere radici calabresi. Una locale «sui generis», vista quasi con supponenza dalle altre ramificazioni di ‘ndrangheta presenti sul territorio e che, dopo l’omicidio di Carmelo Novella (l’ex capobastone “scissionista” giustiziato nel 2008 a seguito del fallito tentativo di staccare la Lombardia dal Crimine calabrese), aveva perso anche le considerazioni dei vecchi capi. Una situazione che aveva relegato gli uomini della cosca di Rho nel mondo della criminalità di strada.
Il maiale in offerta
E se nelle gerarchie criminali lombarde, quella di Rho non era tra le Locali più rispettate e temute, i suoi presunti affiliati facevano di tutto per attenersi a quelle che sono le dinamiche care alla ‘ndrangheta. Dal “rispetto” preteso dai capi verso i propri sottoposti, al sistema di sostentamento dei detenuti con il metodo della “bacinella”: tutto riprodotto secondo il solito copione. Anche le minacce da portare avanti nei confronti di chi ha “sgarrato”. In discussione ci sono le continue lagnanze di un underdog della cosca che si è fatto sorprendere con un carico di coca. L’uomo pretende un “risarcimento” per la sua carcerazione e bussa più volte a denaro alla porta del presunto boss, lamentandosi a voce alta tra gli altri esponenti del clan del mancato sostegno economico ricevuto. Un comportamento che Bandiera vede come un affronto personale e che va fermato alla vecchia maniera, con una minaccia esplicita e clamorosa.
La decisione della cosca cade così su una testa di maiale che va recapitata proprio difronte alla porta di casa della vittima. Ma l’hinterland milanese non è l’Aspromonte e trovare “l’argomento” giusto per fare capire il messaggio al destinatario può richiedere un compromesso con i tempi moderni. Impossibilitati a trovare un maiale vivo da sacrificare, il macabro trofeo viene regolarmente prenotato e acquistato in un grosso centro carni della zona, nei pressi di un centro commerciale della periferia milanese, prima di essere trasportato per mezza città (sotto la continua sorveglianza delle forze dell’ordine che hanno monitorato l’intera operazione) in una scatola con su scritto “testa” e con tanto di scontrino fiscale.
Visto il risultato ottenuto con il recapito alla vittima della testa di maiale, gli uomini della cosca avevano anche provato riutilizzare lo stesso metodo nei confronti di un altro individuo che tardava con i pagamenti della coca presa a credito. In questa occasione i Bandiera avevano però optato per la testa di un capretto da fare trovare con un foglio di minacce in bocca davanti alla porta dei genitori della vittima designata. Del compimento di questa nuova minaccia però non c’è traccia nelle indagini degli investigatori: forse il centro carni era chiuso per turno.
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