I contatti di Antonio La Rosa con il genero, la moglie e i figli per informarsi di quanto avveniva all’esterno ed esercitare il proprio potere anche in stato di detenzione. La figura di Davide Surace e l’inserimento nel clan
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Sono state le intercettazioni telefoniche ed un’attività investigativa ad ampio raggio, messa in piedi dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia, a permettere di scoprire gli affari ed i segreti del clan La Rosa di Tropea, una delle consorterie mafiose più “blasonate” del Vibonese. Sono Davide Surace, 40 anni, di Spilinga, il boss di Tropea Antonio La Rosa, 63 anni, (detto Tonino o “Ciondolino”) e Tomasina Certo, 61 anni (moglie di Tonino La Rosa), le figure-chiavi dell’intera inchiesta portata avanti dalla Sezione Mobile del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Vibo Valentia con il coordinamento della Dda di Catanzaro (pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso).
Un’attività investigativa partita intercettando il telefonino di Cristina La Rosa, 33 anni (oggi destinataria di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, figlia di Antonio La Rosa e Tomasina Certo), la quale nel 2019 si separava dal marito per allacciare una relazione sentimentale con il nuovo compagno Davide Surace di Spilinga.
Un personaggio noto alle cronache, Davide Surace, in quanto nell’aprile del 2016 è rimasto coinvolto nell’operazione “Costa Pulita” riportando l’8 febbraio scorso una condanna definitiva a 3 anni insieme al fratello Federico Surace, mentre il 20 marzo scorso ha rimediato 13 anni di reclusione (a fronte di una richiesta di condanna a 18 anni) nel processo di primo grado (rito abbreviato) relativo all’operazione Olimpo (accusato di associazione mafiosa ed estorsione pluriaggravata).
Nello stesso processo Olimpo è stata invece dichiarata la prescrizione per un fratello di Davide Surace, vale a dire Diego Surace (era stata chiesta per lui la condanna a 4 anni), accusato di intestazione fittizia di beni e ed attuale allenatore della squadra di calcio del Capo Vaticano, militante nel campionato di Promozione. Davide Surace – emerge dalle diverse inchieste che l’hanno riguardato – si sarebbe occupato della produzione e della fornitura di calcestruzzo alle varie imprese attraverso la società S.D. Calcestruzzi srl, con contatti sia con l’articolazione del clan Mancuso facente capo a Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, sia con Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi ed elementi del clan Accorinti di Briatico.
Il clan La Rosa e Surace
L’attività investigativa ha consentito alla Guardia di Finanza di acclarare l’inserimento di Davide Surace nella ‘ndrina dei La Rosa di Tropea il quale con il consenso di Antonio La Rosa – tratto in arresto il 19 dicembre 2019 nell’operazione Rinascita Scott e condannato il 16 marzo scorso a 16 anni (pena concordata in appello dopo i 24 anni rimediati in primo grado) – della moglie Tomasina Certo, di Francesco La Rosa (alias “U Bimbu”, fratello di Antonio e insieme a lui reggente della cosca), e dei figli di Antonio La Rosa e della Certo, vale a dire Domenico La Rosa (oggi arrestato e finito ai domiciliari), Cristina La Rosa (finita da stanotte in carcere, compagna di Davide Surace) e Carmen La Rosa (non destinataria di alcuna misura) hanno “delegato Davide Surace ad occuparsi della problematica afferente lo stato di detenzione del loro padre, Antonio La Rosa”.
Gli investigatori della Guardia di Finanza ascoltano per mesi – soprattutto nell’anno 2020 – le conversazioni captate tra i componenti della famiglia La Rosa, arrivando alla conclusione che “Davide Surace, forte del suo curriculum criminale e del rapporto sentimentale che lo lega alla figlia del capo clan La Rosa, va lui stesso a ricoprire all’interno del clan La Rosa un ruolo verticistico, tanto da essere utilizzato in prima persona da Tomasina Certo (moglie di Antonio La Rosa), come il referente della famiglia”.
Il cellulare dietro le sbarre
Le indagini della Guardia di Finanza hanno consentito di accertare che Antonio La Rosa – arrestato il 19 dicembre 2019 per l’operazione Rinascita Scott – dalla cella di sicurezza del carcere di Avellino, utilizzando illecitamente l’utenza telefonica intestata ad un soggetto pugliese, è riuscito a colloquiare a più riprese, anche attraverso video-chiamate, con i propri familiari (la moglie e le figlie), oltre che con Davide Surace.
L’utenza telefonica del cellulare in uso ai familiari di La Rosa è risultata intestata ad una donna nativa del Gambia ma residente a San Ferdinando. Antonio La Rosa, per gli inquirenti, avrebbe quindi continuato a dirigere dal carcere il proprio clan attraverso telefonate continue con la moglie e il genero Davide Surace, indirizzandoli su come gestire gli affari di famiglia.
Non sarebbero mancati i rimproveri del boss al comportamento tenuto dal nipote Alessandro La Rosa (figlio del fratello Francesco), quest’ultimo ritenuto troppo arrogante e spregiudicato da quasi tutti i componenti della famiglia. Captando invece direttamente il telefonino in uso a Davide Surace, i finanzieri sono invece riusciti ad accertare che il personaggio (all’epoca rappresentante legale della S.D. Calcestruzzi con sede a Ricadi) – pur sconosciuto al fisco (dal 2014 al 2018 non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi) – conduceva “una vita agiata, caratterizzata da frequenti cene al ristorante, noleggi di imbarcazioni, acquisto di un’auto di due moto d’acqua pagate cinquemila euro, sino a diverse spese per l’arredamento dell’abitazione privata sita a Spilinga dove con la compagna Cristina La Rosa intendono convivere”.
Dal luglio 2023 Antonio La Rosa – una volta scoperto l’uso di telefonini in carcere – è ristretto in regime di 41 bis (carcere duro dell’ordinamento penitenziario).