VIDEO | La ragazza lametina affetta da sindrome di down, dopo i successi nello sport, spera ora di indossare la corona d’alloro. Ma le difficoltà non mancano, in questo mesi è venuto meno il supporto per gli studenti con disabilità
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L’avevamo lasciata sul podio degli Special Olympics di Dubai dove aveva fatto incetta di medaglie d’oro diventando dapprima campionessa mondiale di ginnastica ritmica e poi testimonial nazionale dei giochi olimpici dedicati a chi ha una forma di disabilità.
Miriam Molinaro, lametina, anima dell’associazione Lucky Friends, che da anni lavora sull’integrazione e sulla disabilità tramite lo sport, ha sempre dimostrato di avere un connubio di grinta e dolcezza. Più volte le sue esternazioni si sono dimostrate di una profondità e maturità rare diventando un vero e proprio ponte per avvicinarsi a chi spesso vive la sua diversità con difficoltà e chiusura.
Dopo essersi diplomata al Liceo delle Scienze Umane, ora Miriam si è iscritta all’UniCal e punta a laurearsi in Scienze Turistiche. La sindrome di down per lei non è un ostacolo, come non lo è stato prima. «Lo sport e le gare degli Special Olympics mi hanno insegnato cosa è il sacrificio – ci dice – e voglio continuare a sacrificarmi per realizzarmi nella vita. Voglio laurearmi, avere un lavoro, crearmi una famiglia. Voglio che i miei genitori siano felici per me».
La pandemia ovviamente sta incidendo su questa esperienza parecchio e così pochi sono i risvolti sociali del suo primo anno e mezzo di vita universitaria. Miriam, come tutti gli studenti, non frequenta corsi in presenza e ha avuto pochissime occasioni di socializzare.
Ma non è una storia tutta rose e fiori. Manca in questo momento all’Unical il supporto didattico per gli studenti disabili. Il padre di Miriam ci racconta le difficoltà di tipo logistico e didattico che stanno riscontrando, la mancanza dei tutor e di figure di riferimento.
Si attendono tempi migliori, che la pandemia allenti le briglie e permetta di riprendere le lezioni in presenza e i ricevimenti. Altrimenti storie come quella di Miriam rischiano di disincentivare piuttosto che avvicinare chi ha una forma di disabilità e vuole tentare un percorso universitario. «Non serve – ci spiega- fare immatricolare se poi non si permette ai ragazzi di affrontare gli studi».