Pagare per il “quieto vivere”. Questa la regola di base per gli imprenditori costretti a versare tangenti alla ‘ndrangheta per poter continuare ad operare senza temere di dover subire atti di danneggiamento o minatori da parte delle cosche egemoni sul territorio.

 “L’avvocato” ideatore dell’infiltrazione

«Principale ideatore e artefice dell’operazione d’infiltrazione nell’appalto pubblico di costruzione e gestione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani di contrada Cicerna di Gioia Tauro. Il cosiddetto termovalorizzatore». Lo definiscono così, i pubblici ministeri, Gioacchino Piromalli, alias “l’avvocato”, finito ieri nella rete della Giustizia, con la sottoposizione al decreto di fermo emesso dalla Dda di Reggio Calabria.

 

Secondo l’accusa, Piromalli, ritenuto uomo di vertice dello storico casato ‘ndranghetistico, era il destinatario finale delle tangenti pagate da Termomeccanica e Veolia, sul quantitativo di rifiuti e numero di viaggi per il loro trasporto dagli impianti di selezione di Rossano, Crotone, Siderno e Sambatello, al sito del termovalorizzatore.

 

Ma chi era a consegnare direttamente questi soldi? L’ex sindaco di Villa San Giovanni, Rocco La Valle, imprenditore attivo nel settore dei rifiuti. Piromalli, tuttavia, non aveva una interlocuzione diretta con La Valle. Erano i suoi “portavoce” e luogotenenti ad occuparsene: l’avvocato G.L. prima e poi i fratelli Domenico e Giuseppe Pisano.

La longa manus dei Piromalli.

Ruolo di primo piano è quello di Giuseppe Pisano, il quale aveva il compito di attuare tutte le direttive dell’avvocato. In primis, costituì una società a responsabilità limitata con socio unico, con sede proprio a fianco al termovalorizzatore, insediandosi all’interno dell’impianto di smaltimento dei rifiuti. Avvalendosi dell’influenza mafiosa della cosca Piromalli, svolse in via esclusiva, fino al novembre 2012 (fino all’avvento di Ecologia Oggi), i lavori di manutenzione delle caldaie e del nastro trasportatore. Ma Pisano era anche colui che decideva in ordine alle maestranze da far assumere alla ditta incaricata della gestione del termovalorizzatore, nonché accreditare le ditte esterne fornitrici di beni e materiali necessari al funzionamento dell’impianto.

 

Emerge poi il ruolo del fratello di Giuseppe, Domenico Pisano che, oltre a rappresentare anch’egli il clan della Piana all’interno dell’azienda costituita ad hoc, si occupava anche di riscuotere da La Valle la quota di tangenti pagate dalle società, sotto forma di costi d’impresa, regolarmente fatturati e riguardanti i compensi corrisposti alle imprese addette al trasporto negli stabilimenti calabresi, fino a Gioia Tauro. Attraverso il sistema della sovrafatturazione, parte di tale corrispettivo veniva “restituito” in contanti dalle aziende di trasporto, costituite in Ati, al gestore dell’impresa capofila, Rocco La Valle, che ne curava la materiale consegna a pisano. Tangenti che, hanno appurato le indagini, venivano pagate anche dalla società Iam, gestore dell’ impianto gioiese, con soldi consegnati direttamente dall’amministratore delegato della società Domenico Mallamaci a Domenico Pisano, anche questi sotto forma di costi d’impresa.

Il tentato omicidio e il trait d’union con i professionisti

«Eseguiva le direttive impartite da Piromalli», scrivono i pubblici ministeri nel decreto di fermo dell’inchiesta “Metauros”. In realtà, oltre a ciò, Paolo Pisano rappresentava quel soggetto in grado di curare i rapporti fra la famiglia di appartenenza e i Piromalli, ma anche con banche e professionisti. Proprio a Paolo Pisano, infatti, si rivolse Gioacchino Piromalli, rimarcano i pm, «simulando solidarietà, per chiedere notizie sulle condizioni di salute di Giuseppe Pisano, dopo l’attentato a colpi di kalashnikov avvenuto il 14 dicembre 2013, e allo stesso offriva disponibilità nell’eventualità che il nucleo familiare avesse avuto bisogno di qualcosa». Domenico Pisano, infatti, riuscì a sfuggire miracolosamente all’agguato tesogli mentre era a bordo del suo Mitsubishi Pajero, per poi trasferirsi in Toscana.

 

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Tornando a Paolo Pisano, questi, d’intesa con i fratelli, venne incaricato anche di mantenere i rapporti con l’avvocato G.L., per promuovere gli interessi della cosca nel ciclo dei rifiuti.

L’unitarietà nella suddivisione delle tangenti

Dalla Locride alla Piana, c’era una sola regola: tutti dovevano pagare. Così, nell’inchiesta “Metauros” sono confluite anche informative di altre indagini riguardanti diversi territori. È il caso di Giuseppe Commisso, boss dell’omonima famiglia egemone nel territorio di Siderno, che era anch’egli destinatario di una quota parte delle tangenti imposte a Termomeccanica e Veolia. Basti pensare come, in occasione della trattativa inerente i servizi di trasporto dagli impianti di selezione di Sambatello, Rossano, Crotone e Gioia Tauro, intercorsa fra Romolo Orlandini di Termomeccanica e Rocco La Valle, gestore della Ecofal, capofila dell’Ati, quest’ultimo richiese il pagamento della tassa ambientale. Ecco cosa dice Orlandini ai magistrati: «Per il quieto vivere, per l’ambiente facciamo così e non se ne parla più. L’unica particolarità che è venuta fuori con l’occasione… è stato il fatto che… mi è stato detto, però, su questa cifra bisognerebbe mettere un qualcosina, è stata una cosa molto vaga, uso il termine che è stato usato…. Per l’ambiente». Dunque, una somma ulteriore rispetto al prezzo per il singolo trasporto. E se qualcuno non si adeguava o ritardava? Si poteva arrivare anche al blocco del servizio di trasporto, come accaduto nel luglio 2009. La tassa si aggirava sui 30 euro a viaggio per un importo ci diverse centinaia di migliaia di euro l’anno.

 

Consolato Minniti