Il parlamentare calabrese Riccardo Tucci ha preparato una bozza con le modifiche legislative che potrebbero consentire di superare i paletti normativi che impediscono il rinnovo dei contratti. Poi però servono i soldi
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Dopo le urla e le accuse, alla fine le castagne dal fuoco potrebbe toglierle il Movimento 5 stelle, disinnescando così la bomba Lsu e Lpu che continua a ticchettare con il timer fisso sul 31 dicembre, giorno in cui scadranno i contratti dei circa 4.500 lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità impiegati negli enti locali calabresi.
In queste ore, infatti, il deputato pentastellato Riccardo Tucci sta sottoponendo al ministero della Funzione pubblica, guidato da Giulia Bongiorno, un emendamento da inserire nella legge di Bilancio per concedere le deroghe legislative invocate da tempo dai Comuni per procedere al rinnovo dei contratti.
La questione era stata posta in tutta la sua urgenza nel corso dell’assemblea dei sindaci tenutasi a Lamezia lunedì scorso. Un incontro delicato che ha fatto registrare momenti di tensione quando una delegazione di lavoratori ha accusato i politici presenti di averli presi in giro per vent’anni. A quella riunione, oltre a Tucci, parteciparono anche il governatore Mario Oliverio e la deputata Pd Enza Bruno Bossio, i principali sponsor nel corso degli ultimi anni di un processo di stabilizzazione che ora sembra essersi pericolosamente arenato, sia per mancanza di fondi (ci vogliono 50 milioni di euro l’anno) che, soprattutto, per i paletti normativi della riforma Madia che impediscono di fatto il rinnovo dei contratti. E proprio su questi si è concentrato Tucci, che ha stilato una bozza di emendamento da sottoporre al ministero.
La bozza di emendamento
Nel testo, il parlamentare cinquestelle accoglie in toto le richieste dei sindaci e si spinge addirittura oltre, prevedendo per i prossimi tre anni l’abrogazione dell’obbligo di rendere coerenti le nuove assunzioni con il piano triennale dei fabbisogni di personale. In altre parole, gli Enti potrebbero assumere eludendo la programmazione in materia di pianta organica. Allo stesso modo, i Comuni non sarebbero costretti a rispettare la regola del turnover, che subordina le nuove assunzioni ai contestuali pensionamenti dei lavoratori in servizio. Via libera anche alla leva del “reclutamento speciale” quello che mira a valorizzare le competenze maturate negli enti dai lavoratori a termine, con corsie preferenziali per le assunzioni a tempo indeterminato dei precari storici.
Una panacea normativa per ora solo in embrione, che dovrà attraversare le forche caudine del ministero e di una maggioranza parlamentare che finora non sembra perdere il sonno per la sorte degli Lsu e Lpu calabresi, circa 4.500 lavoratori che aspettano da tempo immemorabile di mettere un punto al proprio calvario occupazionale.
Al momento niente contratti né stabilizzazioni
Senza novità di rilievo, la situazione resta molto critica. Per la prima volta il presidente Mario Oliviero ha dovuto riconoscere esplicitamente che al momento non ci sono né soldi né deroghe alle norme in vigore che possano assicurare la prosecuzione dei rapporti di lavoro. Un realismo lontano anni luce da quanto sostenuto in passato insieme all’onorevole Bruno Bossio, soprattutto durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo scorso, quando entrambi davano per cosa fatta la fine del precariato. Le cose stanno diversamente, come hanno sempre sostenuto i sindaci “ribelli”, un pugno di amministratori trattati come reietti che contro tutto e tutti hanno rifiutato sin dall’inizio di assecondare il racconto che veniva dalla politica di governo. Questi primi cittadini sono gli unici che oggi non rischiano di essere chiamati in giudizio per risarcire i lavoratori con tre anni di contratti a termine alle spalle ma mai assunti definitivamente, cioè stabilizzati.
Contrappasso politico
E ha un sapore agrodolce la circostanza che ora la soluzione possa arrivare da un emendamento presentato da un giovane parlamentare ripescato dalla Cassazione e finito a Montecitorio soltanto perché in Campania e in Sicilia non c’erano abbastanza candidati per i seggi conquistati numericamente in quelle regioni. Sempre che una volta portata a Roma la bozza, i compagni di partito non gli chiedano se è impazzito a voler tirare fuori dalle secche il governo regionale.
Enrico De Girolamo
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