«Mi avevano proposto 14mila euro, io gli ho detto di no». Così il pentito Daniele Bono. Anche lui era stato contattato da “cumpari Turi”, ovvero Salvatore Callea, il reclutatore di killer per conto dei clan in guerra. A Gallico c’era da ammazzare Peppe Canale per vendicare l’uccisione del boss Domenico Chirico. Originario di Oppido Mamertina, sistematosi nel Viterbese, Callea era stato scomodato i mafiosi di Gallico entrati in guerra già prima che a Vibo e dintorni deflagrasse la faida nella quale, su impulso di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”, prestò servizi e sicari ai Patania contro il clan dei Piscopisani.

 

Bono, uomo dei Patania, il cui pentimento segnò una svolta nelle indagini sul bagno di sangue di cui fu teatro il Vibonese, all’epoca rifiutò l’offerta di Callea. E la rifiutarono pure i due killer dei Balcani ingaggiati da Callea che invece spararono nella faida tra i Patania e i Piscopisani: Arben Ibrahimi e Vasvi Beluli, anche loro oggi dei collaboratori di giustizia. Accettarono invece di assassinare Canale, per soli dieci mila euro da saldare a rate, Cristian Loielo e Nicola Figliuzzi, quest’ultimo ultimo pentito reoconfesso di una batteria d’assassini.
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Un intreccio di killer arruolati a buon mercato nei bassifondi del crimine quello che emerge dalle carte dell’operazione che ha fatto luce sull’agguato che nell’agosto 2011 costò la vita a Peppe Canale. Un’indagine dalla quale viene solo lambito, ma non indagato, un altro presunto killer, Sebastiano Malavenda, la spalla di Vasvi Beluli nell’agguato che il 7 luglio 2012, sulla spiaggia di Vibo Marina, provocò la morte di Davide Fortuna. Lo chiama in causa Ibrahimi come compartecipe al delitto Canale, ma la sua ricostruzione viene smentita dal reo confesso Figliuzzi. Ibrahimi rivela però  un’altra circostanza: a portare Malavenda da Reggio a Vibo, per sparare nella faida tra i Patania e i Piscopisani, sarebbe stato Nino Crupi, il genero del defunto boss di Gallico Domenico Chirico. Scambio di favori tra clan, anche questo.

 

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