Lo scambio di favori criminali e i presunti accordi tra Mileto e Soriano Calabro di scena nel maxiprocesso Maestrale-Carthago, in corso dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (aula bunker dell’area industriale di Lamezia Terme), dove dal racconto del collaboratore di giustizia Walter Loielo è emerso – tra l’altro – il tentativo di attentare alla vita di Domenico Zannino, 35enne di Sorianello, il quale doveva cadere sotto i colpi di potenti armi da fuoco. È toccato al pm della Dda, Annamaria Frustaci, chiedere in un primo tempo al collaboratore Walter Loielo (di Ariola di Gerocarne) contezza sulla volontà da parte del cugino Rinaldo Loielo e di Rocco Tavella di Mileto di voler attentare alla vita di Domenico Zannino. Così il pm Annamaria Frustaci in aula: Le chiedo un passaggio importante: ma Rocco Tavella chi glielo presenta e cosa c’entrava nell’agguato che Rinaldo Loielo voleva portare avanti nei confronti di Domenico Zannino”?.

Questa la risposta del collaboratore Walter Loielo: “A me lo ha presentato Rinaldo, mi ha detto “Questo è Rocco Tavellae che ci dava una mano a fare queste cose. Poi non abbiamo fatto niente perché ci aveva avvisato il cognato di Rinaldo Loielo che c’erano i carabinieri poco più avanti di dove eravamo noi. Ci trovavamo sotto la caserma dei carabinieri di Soriano) pronti a uccidere Domenico Zannino che partiva con l’auto, ma Filippo Pagano, cognato di Walter Loielo, che era con la sua macchina, tramite un walky talky ci ha avvertito che c’erano i carabinieri al posto di blocco vicino l’ospedale di Soriano”. Di rimando il pm: “Lei ha detto che il cognato di Rinaldo, Filippo Pagano, vi ha avvisato della presenza dei carabinieri. E voi dove vi eravate appostati quando Filippo Pagano vi ha avvisato e a quel punto cosa avete fatto?”. Le spiegazioni del collaboratore Walter Loielo non si sono fatte attendere: “Eravamo vicini al ponte che collega Soriano e Sant’Angelo. Rinaldo non mi ricordo come poi se ne è andato, però Filippo è venuto a prendere sia a me e sia Rocco Tavella, a me mi ha lasciato a Sant’Angelo, a Rocco è andato a portarlo a San Giovanni, a casa sua”.

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Nel tentativo di omicidio ai danni di Domenico Zannino - ritenuto dagli inquirenti elemento di spessore nelle Preserre vibonesi vicino al clan Emanuele (rivale dei Loielo), ma non tra gli imputati del maxiprocesso – il collaboratore Walter Loielo ha quindi tirato in ballo anche Vincenzo Raimondo, zio materno di Rinaldo Loielo e anche lui estraneo al maxiprocesso. A detta del collaboratore, dopo il primo fallito agguato ne sarebbero stati preparati altri due contro Domenico Zannino (usando fucili Ak47 e un fucile automatico), anche questi però non andati a buon fine. In cambio della presunta partecipazione di Rocco Tavella (imputato nel maxiprocesso per associazione mafiosa, traffico di droga e armi) al tentato omicidio di Domenico Zannino, Rinaldo Loielo avrebbe invece dato una mano ai Tavella per compiere altri fatti di sangue a Mileto contro i clan rivali dei Tavella. Rinaldo Loielo (figlio del boss Giuseppe Loielo, ucciso insieme al fratello Vincenzo nel 2002 dagli Emanuele) e Filippo Pagano non figurano tra gli imputati del maxiprocesso ed hanno scontato una condanna definitiva a 8 anni per la detenzione di un potente ordigno esplosivo che sarebbe stato ceduto dal boss Pantaleone Mancuso di Nicotera (alias “Scarpuni”) nel 2013 per alimentare lo scontro armato tra i Loielo e il clan Emanuele. Una vicenda, quest’ultima (unitamente alle intercettazioni in un bar di Nicotera Marina intercorse tra Mancuso, Loielo e Pagano) tornata di attualità poiché riportata nella recente inchiesta antimafia denominata “Portosalvo”, scattata nel maggio scorso, che vede Pantaleone Mancuso indagato quale mandante di un omicidio.

Le domande dei difensori

È toccato quindi all’avvocato Carlo Monaco controesaminare il collaboratore Walter Loielo il quale rispondendo alle domande del difensore ha spiegato che “tra Rocco Tavella e Rinaldo Loielo vi era una sorta di scambio di favori personali risalente al 2013”, mentre su domanda dell’avvocato Tommaso Zavaglia, il collaboratore ha chiamato in causa il proprio fratello – Ivan Loielo (non imputato nel maxiprocesso) – quale soggetto che avrebbe ricevuto un’arma a Benito Tavella, quest’ultimo imputato nel maxiprocesso. “Ivan Loielo si è recato a San Giovanni di Mileto – ha affermato il collaboratore – insieme ad un suo amico che dietro la consegna di una somma di denaro ha ottenuto un’arma da Benito Tavella, ma non so come Ivan Loielo abbia conosciuto Benito Tavella”. L’avvocato Tommaso Zavaglia, alla luce di tale risposta, ha quindi chiesto al Tribunale l’audizione sul punto di Ivan Loielo.

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Si è quindi passati al controesame del collaboratore di giustizia di Lamezia Terme, Matteo Vescio, il quale su domande dell’avvocato Zavaglia ha affermato che “Benito Tavella era solito spacciare droga a San Giovanni di Mileto in un fabbricato vicino ad una stalla dove c’era un via vai di persone”. Unitamente al fratello Rocco Tavella avrebbe inoltre commesso numerose “rapine, comprese quelle dei fucili ai danni di alcuni cacciatori”. Il collaboratore Vescio ha altresì confermato l’interesse dei Tavella “sulle estorsioni praticate alle ditte impegnate nei lavori nel tratto autostradale di Mileto” ed il loro riferimento ai Mancuso.

Su domanda dell’avvocato Antonio Papalia, il collaboratore Vescio ha invece confermato di aver ricevuto da Rocco e Benito Tavella la confidenza in ordine al fatto che l’omicidio del loro fratello Michele Tavella sarebbe stato compiuto da Pasquale Pititto” (imputato per associazione mafiosa nel maxiprocesso – ma non per tale fatto di sangue – e già condannato in via definitiva per altri omicidi) e per questo motivo i Tavella avrebbero nutrito propositi di vendetta nei confronti dello stesso Pititto. Michele Tavella è stato ucciso il 7 ottobre del 2006 mentre si trovava sulla sedia di un barbiere a Mileto. Un omicidio rimasto ad oggi impunito.