Inchiesta della Squadra mobile di Bologna: la Dda contesta ai due soggetti, ritenuti organici al clan Grande Aracri, estorsione e intestazione fittizia di beni
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Si sarebbero “intromessi” nella compravendita di un bar, in centro a Parma, e, forti dell'appartenenza a un gruppo 'ndranghetista, avrebbero costretto il titolare 40enne, intenzionato a lasciare l'esercizio per problemi economici, a cederla a un prestanome per 10mila euro quando il prezzo di partenza si aggirava intorno ai 45mila euro. Inoltre, lo avrebbero assunto come dipendente, non versandogli lo stipendio, ma solo 20-30 euro come rimborso carburante, e lo avrebbero sottoposto a vessazioni fisiche e psicologiche. E' quanto hanno ricostruito gli investigatori della Squadra mobile di Bologna che ieri, per estorsione e intestazione fittizia di beni, hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Bologna Alberto Ziroldi su richiesta del pm della Dda Beatrice Ronchi, nei confronti di Paolo Grande Aracri, figlio di Francesco e nipote del boss Nicolino, e di Manuel Conte, ritenuti appartenenti all'associazione 'ndranghetista guidata dalla famiglia ed entrambi già colpiti a giugno da un provvedimento restrittivo.
I loro due nomi, infatti, sono finiti nel fascicolo dell'operazione “Grimilde” che ha fatto luce sull'azione della ‘ndrangheta nelle province emiliano-romagnole. Grazie ai racconti di testimoni e a nuovi accertamenti, gli investigatori hanno ricostruito la cessione del bar di Parma e le vicende connesse, risalenti agli ultimi mesi del 2017 e all'inizio del 2018. Il titolare aveva trovato un acquirente che, secondo le indagini, Grande Aracri e Conte avrebbero fatto desistere. Individuando un prestanome, da un notaio avrebbero definito la cessione dell'esercizio per 10mila euro che avrebbero versato al proprietario in quattro rate da 2.500 euro. Denaro che però i due, a quanto risulta agli investigatori, non avrebbero mai pagato. A lui, diventato dipendente dell'attività, Paolo Grande Aracri ha poi chiesto denaro: 17.500 euro. Soldi che il 40enne avrebbe recuperato da parenti e amici e poi versati al prestanome e quindi ai due arrestati. I contanti, come ricostruito dalla Polizia, sarebbero transitati su alcune carte prepagate. Ricontattata dai due la prima persona che si era offerta di acquistare il bar, è poi stato concluso l'accordo di vendita per 35mila euro.
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