Una fra le tante storie è quella di Giulia. Entrambi i genitori sono stati arrestati nel 2010, per associazione mafiosa. Il padre è al 41 bis, non vede la figlia da anni. Molti membri della famiglia, una delle più feroci della 'ndrangheta, sono finiti in carcere, il clan è stato decimato. Quei pochi scampati alla galera devono gestire le attività criminali; è loro il compito di trovare i soldi per pagare gli avvocati. In libertà ci sono rimasti quasi solo ragazzini. Il fratello di Giulia, nemmeno diciottenne, aveva l'incarico di riscuotere il denaro. Agli imprenditori del paese chiedeva un fiore per aiutare la famiglia in difficoltà, un fiore che poteva valere anche cinquemila euro. Le estorsioni erano organizzate nel dettaglio, tutto veniva annotato su un foglio, le cifre, le date in cui venivano incassate, i nomi di chi doveva pagare. Quel foglio ce l'aveva Giulia negli slip.

Quando viene fermata dalla Polizia ha tredici anni, gli agenti si accorgono che nasconde qualcosa, bisogna perquisirla. Giulia ha paura, è lei stessa a consegnare il 'calendario' agli inquirenti. "Sapevo a cosa andavo incontro" dice durante l'interrogatorio. E' difficile fingere di non sapere quando la 'ndrangheta la respiri fin dalla nascita. Soprattutto è difficile scegliere una vita diversa. Eppure in quel momento Giulia decide di salvarsi.

Si rivolge ai magistrati dicendo: "Voglio andare via dalla Calabria, aiutatemi". Il pubblico ministero Francesca Stilla chiede al tribunale dei minori di Reggio Calabria di applicare una misura civile per allontanare la ragazza dal contesto familiare. I giudici reggini accettatano e la mandano in una comunità lontano dalla Calabria. Giulia cerca di scappare tante volte, finché non viene affidata a una famiglia del nord d'Italia. Adesso studia, si è fatta nuove amicizie, sente spesso sua madre, si scrivono lunghe lettere. E lei, dal carcere, che l'ha incoraggiata a costruirsi un futuro migliore.

Michela Mancini