Nel vecchio Corpo forestale dello Stato c’era corruzione. C’erano agenti che prendevano «mazzette». Anzi, spiega il pentito Francesco Oliverio - già capo del locale di Belvedere Spinello, piccolo centro della Presila Crotonese – c’erano uomini in divisa grigia che erano veri e propri «stipendiati».


E’ un affresco desolante quello tracciato tra le pieghe della coda dell’inchiesta “Stige” che sabato scorso ha portato all’arresto del maresciallo Carmine Greco, comandante della caserma dei carabinieri forestali di Cava di Melis. La perquisizione effettuata su delega della Procura di Castrovillari negli uffici di Calabria Verde: un’indagine che – sostengono i pm di Catanzaro che lo hanno fatto mandare in carcere – egli avrebbe pilotato per favorire gli Spadafora, imprenditori boschivi legati ai clan. Fu la stessa perquisizione nella quale il commissario di Calabria Verde, ex generale dei carabinieri, Aloisio Mariggiò – uno che fino a qualche tempo prima aveva il potere di trasferire quegli stessi carabinieri in Val di Susa - si vide schernire con la frase: «Lei è un uomo fortunato».


Tutt’altro che fortunato è stato invece Greco, il cui arresto scopre la punta di un iceberg. Parlano i pentiti sugli infedeli dello Stato asserviti ai ras dei boschi, ma ci sono anche intercettazioni. Occhi chiusi sui tagli non autorizzati, scrupolosi controlli invece nei confronti delle imprese non allineate. Un sistema a cui la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha inferto solo un primo colpo.

 

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